La prova di traduzione: favorevoli o contrari?

Il primo post di quest’anno riguarda una questione abbastanza controversa per i traduttori: la prova di traduzione. La prova di traduzione consiste in un breve testo che a volte le agenzie inviano ad un traduttore con cui non hanno ancora lavorato per testare le sue competenze in vista di un potenziale incarico o al fine di inserirlo nel proprio database di traduttori. Una volta ricevuto il testo, il traduttore svolge la traduzione (senza compenso) e la invia all’agenzia, che la valuta e comunica al traduttore la sua risposta.

Le ragioni del no

Come dicevo prima è una questione un po’ controversa perché alcuni traduttori sono contrari al concetto stesso di prova di traduzione. La loro posizione è questa: se quando abbiamo bisogno di una consulenza medica nessuno di noi si sognerebbe mai di chiedere ad un medico una “prova di visita medica gratuita”, perché invece la stessa richiesta è considerata legittima quando parliamo di un traduttore? Non si tratta in entrambi i casi di servizi professionali in cui il committente è tenuto a dare fiducia al professionista?

Inoltre, se ciascun potenziale cliente (agenzie e clienti privati) chiedesse ad un traduttore una prova di traduzione gratuita, il traduttore finirebbe per lavorare senza compenso per una parte significativa della sua giornata.

Infine, non è detto che chi valuta la prova di traduzione abbia le compentenze per giudicarla in maniera adeguata, e in ogni caso, la traduzione non è una scienza esatta e a volte il confine tra stile personale ed errore oggettivo non è molto netto.

Le ragioni del sì

Pur comprendendo in parte le ragioni dei detrattori della prova di traduzione, personalmente non sono infastidita se un’agenzia che ancora non mi conosce mi chiede di fare una piccola prova, soprattutto se l’agenzia in questione è italiana: in Italia purtroppo per lavorare come interprete o traduttore non occorre avere nessun requisito e non è raro imbattersi in persone che dall’oggi al domani si improvvisano traduttori senza avere la minima idea di cosa significhi tradurre. Considerata questa anarchia, una prova di traduzione ha il vantaggio di separare immediatamente un traduttore professionista da un dilettante, e secondo me questo è positivo sia per il committente che per il traduttore professionista.

Un altro motivo per cui non sono ostile alla prova di traduzione è che, oltre a permettere al committente di testare il traduttore, permette anche al traduttore di testare il potenziale committente. Anche noi traduttori possiamo scegliere con chi collaborare e se in fase di prova di traduzione ci rendiamo conto che quel determinato committente ha un modo di fare che non ci piace (modi bruschi, tempi di risposta lunghissimi, osservazioni sulla nostra traduzione irrilevanti) possiamo scegliere di non dare seguito alla collaborazione nascente.

Se sì, come?

Detto questo, pur essendo favorevole alla prova di traduzione, è fondamentale delimitarne i confini in maniera netta.

  1. Il testo della prova di traduzione deve essere breve (non oltre le 2 o 3 pagine): un testo di 15 pagine si chiama “lavoro gratis”, non prova di traduzione!
  2. Se il committente ritiene che la nostra prova di traduzione sia inadeguata è tenuto a spiegare in maniera dettagliata e puntuale le sue obiezioni in modo tale da darci la possibilità di motivare le nostre scelte.
  3. Se il committente ci chiede di svolgere una prova di traduzione, ci sta chiedendo una cortesia, quindi non è nella condizione di pretendere una consegna urgente.

E voi siete favorevoli o contrari alla prova di traduzione?

Emanuela Cardetta
Emanuela Cardetta

Sono un’interprete di conferenza e traduttrice di italiano, inglese, francese e slovacco. Il mio lavoro è aiutare persone che non parlano la stessa lingua a comunicare tra loro in maniera efficace.

Chi sono
4 Comments
  • Nautilus
    Posted at 16:58h, 03 Gennaio Rispondi

    Non immaginavo che per voi traduttori esistesse una prova di traduzione. Lo scopro ora grazie al tuo post.
    Ci ho riflettuto un po’ e sono giunto alla conclusione che la si possa ritenere una pratica relativamente accettabile. Mi è saltato in mente un paragone con l’acquisto di vino.

    Se vai in un supermercato e ti trovi di fronte a una marca che non conosci puoi decidere di fare un acquisto a scatola chiusa (anche perché gli assaggi sono cosa molto rara in questo ambito). Anche se hai speso 10 euro e il prodotto non ti piace sono pur sempre 10 euro. Se invece devi investire nell’acquisto di una dozzina di damigiane (come erano soliti fare mio padre e mio nonno durante la mia infanzia) allora le cose cambiano. In questo caso la prova di degustazione diventa una condizione indispensabile.

    La scelta di un traduttore è una specie di investimento nel tempo, che come tale può avere ripercussioni di immagine (e quindi economiche) su una casa editrice. Un buon traduttore in genere non fa notizia, uno cattivo sì (è un concetto ben noto: fa più rumore un albero che cade di un’intera foresta che cresce). Ne ho avuto conferma quest’estate; nella casa vacanza di Palanga ho conosciuto il traduttore lituano di Susanna Tamaro; quello che è oggi un arzillo ottantenne si porterà fin dentro la tomba le recensioni negative del suo lavoro.

    Se fossi un editore il mio interesse sarebbe quello di accaparrarmi un ottimo traduttore alle prime armi e creare con lui o lei un rapporto solido e duraturo. Per fare ciò un metodo di selezione si rende indispensabile. Personalmente sottoporrei un identico collage di vari paragrafi di provenienza diversa (sono d’accordo sul limitare il testo alle due o tre pagine) a una certa rosa di traduttori; poi, se il candidato c’è, sceglierei il migliore, e se non c’è prolungherei la selezione.
    Quando lavoravo per una multinazionale delle telecomunicazioni avevo spesso la possibilità di ricorrere a degli interinali o a delle sostituzioni di maternità. Dato che quelle persone avrebbero poi dovuto lavorare con me per non meno di sei mesi ero ben attento alla selezione, che curavo io stesso senza demandare nulla alle risorse umane. E ricorrevo sempre a dei test, cioè a delle prove.

    Non vorrei sbagliarmi, ma non credo che qualcuno approfitti di queste prove di traduzione con finalità di scrocco. La lettura e la correzione dei testi tradotti richiede tempo e competenza, quindi sarebbe poco sensato eccedere in questa pratica. Allo stesso tempo è un mondo che non conosco, quindi posso solo fare supposizioni.

    • Emanuela Cardetta
      Posted at 17:11h, 03 Gennaio Rispondi

      Come sempre i tuoi commenti mi fanno venire in mente un sacco di domande 🙂

      Non conosco la vicenda del traduttore lituano di Susanna Tamaro. Perché ha ricevuto delle critiche negative?

      Altra curiosità: perché dici che se fossi un editore cercheresti un traduttore alle prime armi?

      Che tipo di test proponevi ai tuoi candidati? Di natura tecnica o più psico-attitudinali?

      Per quanto riguarda la questione scrocco, purtroppo qualcuno lo fa. Non più tardi di qualche settimana fa mi è arrivata una richiesta di una prova di traduzione fatta di due testi diversi per un totale di oltre venti pagine. Non sono una persona maligna, ma la cosa mi puzzava un po’, quindi ho dato la mia disponibilità per tradurre le prime due pagine e non ho più ricevuto risposta. Strano, no?

      • Nautilus
        Posted at 09:08h, 04 Gennaio Rispondi

        Rispondo volentieri.

        Quando abbiamo incontrato Algimantas Gudaitis, detto “Algis”, mia moglie non ne aveva mai sentito parlare e così ha fatto qualche ricerca in internet. In quell’occasione ha scoperto alcuni siti e forum letterari lituani in cui si faceva riferimento al testo della Tamaro (Eik, kur liepia širdis). Diversi lettori (sopratutto lettrici) che avevano letto il libro nella versione originale e in quella tradotta hanno riferito che la traduzione era molto approssimativa. Non ho approfondito la questione, ma ricordo che mia moglie aveva trovato parecchi commenti di questo segno.

        Se fossi un editore vorrei avere dei traduttori affermati, ovviamente, ma di tanto in tanto vorrei inserire in organico anche nuovi elementi, possibilmente dei talenti da far crescere. Diverse le ragioni. Innanzitutto considero l’attività di talent scouting molto intrigante, appagante e appassionante. Poi c’è la necessità di avere figure con una mente più fresca e un approccio al passo con i tempi. La compresenza di traduttori affermati e alle prime armi – se il clima è quello giusto – porterebbe entrambi a beneficiare delle caratteristiche reciproche in un contesto di salutare competitività. Inoltre un traduttore alle prime armi (che è un investimento in capitale umano) costa meno; se ti costa meno in fase iniziale significa anche che hai a disposizione maggiori leve economiche per poter incrementare nel tempo la sua retribuzione, e quindi aumentare la sua gratificazione.

        I test che proponevo ai miei candidati erano legati sopratutto a temi tecnici che avrebbero poi dovuto far parte della loro attività lavorativa. Lo scopo qui era quello di vedere quale approccio avrebbero utilizzato per affrontare un determinato problema a loro sconosciuto. A me non interessava la soluzione esatta, ma il metodo e la creatività. Un esempio è il seguente; oggi con Excel esistono procedure incorporate che ti permettono di pulire una lista dalla presenza di voci duplicate, ma all’epoca no; quindi io chiedevo di creare una sequenza di operazioni che potesse arrivare al risultato. A volte proponevo anche cose un po’ più generiche come il problema della cuciture del pallone (https://lituopadania.wordpress.com/2014/01/04/le-cuciture-di-un-pallone-da-calcio/); questo è un tipico esempio di problema che appare difficilissimo e per la cui risoluzione si pensa si debba ricorrere a conoscenze approfondite o a formule complicate, ma che può essere domato in modo sorprendentemente semplice utilizzando un approccio logico elementare.
        A volte facevo anche un piccolo test di Inglese, ma solo per coloro che indicavano nel CV una conoscenza ottima di quella lingua. Più che altro serviva a stanare chi aveva mentito.
        In generale ogni colloquio durava dai 60 ai 90 minuti; nella parte introduttiva facevo una panoramica dell’azienda dal generale giù giù sino al dettaglio del team nel quale avrebbe dovuto lavorare il candidato; poi passavo la parola all’altra parte e i test erano la parte conclusiva. Il colloquio è fondamentale per capire la persona che si ha di fronte. Non sono mai stato interessato agli aspetti legati all’ansia, che una persona come me (che soffre di attacchi di panico) riconosce al volo. Ancor meno ero interessato agli aspetti estetici. A parità di condizioni (ma questa parità capitava molto di rado) optavo per il candidato con i capelli più lunghi, con più piercing e vestito peggio.

        • Emanuela Cardetta
          Posted at 10:01h, 04 Gennaio Rispondi

          Grazie mille per la risposta! Sono d’accordissimo con te soprattutto per quello che scrivi nel secondo paragrafo (se fossi un editore). Molto interessante il quesito del pallone da calcio anche se non invidio i tuoi candidati 🙂

Lascia un commento

Ti è piaciuto questo articolo?
Iscriviti alla newsletter


Loading