
Qualche giorno fa una vicenda che riguarda una collega interprete ha avuto un enorme risalto mediatico. La premier Giorgia Meloni ha incontrato il presidente americano Trump alla Casa Bianca per discutere della questione dei dazi e, al termine della riunione, i due leader hanno incontrato la stampa nell’Ufficio Ovale. Come si vede in questo video, a un certo punto della conferenza stampa la premier Meloni risponde in italiano alla domanda di un giornalista italiano e il Presidente Trump chiede che questi scambi siano tradotti in inglese. L’interprete, Valentina Maiolini-Rothbacher, inizia a tradurre in inglese, ma ha qualche esitazione e dopo un po’ Meloni la interrompe e prosegue in inglese.
La vicenda finisce praticamente su tutti i social, siti e giornali e inizia una vera e propria gogna mediatica a danno della collega interprete. Fioccano commenti di tutti i tipi di cui riporto qui una breve sintesi:
- “dovevano mettere un madrelingua” – interpretare vuol dire lavorare con e tra due lingue. Il fatto che la collega fosse italiana non vuol dire necessariamente che non fosse in grado di offrire una buona resa in inglese anzi, dalla sua parte poteva contare su una comprensione perfetta dell’italiano, vantaggio particolarmente utile in ambito politico, perché le sfumature hanno una grandissima importanza
- “la premier parla meglio della traduttrice” – innanzitutto la vicenda riguarda un’interprete e non una traduttrice. In secondo luogo, la premier effettivamente è orgogliosamente a suo agio in inglese ma, come ho scritto fino alla nausea su questo blog, per fare l’interprete, essere fluenti in una lingua straniera non è sufficiente, tant’è che quando Giorgia Meloni interrompe l’interprete e traduce la sua stessa dichiarazione in inglese, non si può dire che la sua resa sia completa e accurata (e proprio per questo alcune malelingue sostengono che abbia interrotto l’interprete prima che traducesse il passaggio su Putin, che sarebbe forse apparso sconveniente agli occhi di Trump)
- “non dovevano farlo in simultanea” – non si tratta di interpretazione simultanea, ma di interpretazione consecutiva
- “ma dove l’hanno trovata?” – si tratta di una professionista di lungo corso, non certo di una novellina
E mi fermo qui, omettendo volontariamente i commenti che superano i confini della maleducazione o che sfruttano l’accaduto per un ritorno politico.
Ma quindi cosa è successo? Prendiamo atto del fatto che un momento di défaillance c’è stato, come ha dichiarato con grandissima umiltà e porgendo le sue scuse la stessa Valentina Maiolini-Rothbacher, ammissione che a mio avviso merita un immenso plauso. Gli interpreti, come tutti, sono esseri umani e come tali, talvolta sbagliano, anche se hanno una solida esperienza sulle spalle. Ma a mio avviso ci sono delle attenuanti che non possono essere ignorate:
- la situazione era molto tesa e concitata
- la condizione ambientale rumorosa e confusa, con orde di giornalisti che urlavano e si accavallavano
- la domanda è stata posta in italiano da un giornalista italiano alla Premier italiana e forse l’interprete non pensava che sarebbe stata necessaria la traduzione (come spesso accade in questi casi), quindi forse non aveva preso appunti per la traduzione in consecutiva
- la collega sapeva benissimo che Giorgia Meloni (e molti altri dell’entourage) conosce l’inglese, e tradurre l’intervento di qualcuno che “ti controlla” aggiunge ancora più tensione.
In conclusione, oltre ad esprimere tutta la mia solidarietà alla collega, finita in pasto ai soliti leoni da tastiera tuttologi, ho il grande rammarico che, ancora una volta, si parli della nostra categoria solo e soltanto quando qualcosa va storto.
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