Che cosa rende un lavoro difficile per un interprete?

Capita spesso che, chiacchierando con amici e/o colleghi interpreti, si parli di un incarico di interpretazione in programma e la maggior parte delle volte salta fuori la domanda del tipo: “Il lavoro di domani sarà difficile?”. E’ una domanda che mi fa sempre sorridere perché in realtà, quando rispondo mi sembra sempre di fare i pronostici sui risultati delle partite di calcio, un po’ come si faceva con la schedina del totocalcio (lo so, questo riferimento al totocalcio mi farà apparire proprio una boomer).

L’interprete e i social media

I social media hanno rivoluzionato le nostre vite, sia nella sfera personale, che in quella professionale. Dal punto di vista professionale, i social media offrono agli interpreti opportunità che anche solo una decina di anni fa erano inimmaginabili. In passato, per fare networking e marketing, le uniche possibilità a disposizione dei professionisti erano partecipare ad eventi, alzare il telefono o inviare un’email. Oggi, grazie a LinkedIn, Facebook o Twitter, a questi canali “tradizionali” se ne aggiungono altri che ci permettono di entrare in contatto o interagire con colleghi e potenziali clienti praticamente con un click. Fantastico, no? Beh… sì e no. Perché se usati male, i social network possono ritorcersi contro di noi e ledere la nostra reputazione.

Vita privata e vita professionale

Se sui social abbiamo profili professionali, probabilmente il nostro obiettivo è trovare nuovi clienti, coltivare gli attuali e confrontarci con i colleghi. Per farlo è importante veicolare un’immagine di noi autentica e professionale, che ispiri fiducia e competenza, evitando quindi contenuti troppo personali. Per chi ama usare i social network per rimanere in contatto con amici e familiari, un’idea potrebbe essere destinare un canale ad un uso esclusivamente professionale, come LinkedIn, e avere un secondo profilo, ad esempio su Facebook o Instagram, con contenuti più personali, in modo tale che i nostri potenziali clienti non finiscano per errore sulle nostre fotografie al mare in bikini!

#viewfromthebooth

I social media strabordano di fotografie di interpretri con l’hashtag #viewfromthebooth #boothwithaview o #terplife che ritraggono l’interprete in cabina, da cui spesso si desumono informazioni potenzialmente sensibili, come il luogo, il tipo di evento e l’identità dei partecipanti, che il nostro cliente potrebbe non avere voglia di diffondere per mille possibili ragioni. Se da una parte è comprensibile che dal punto di vista del marketing si abbia voglia di far sapere a colleghi e potenziali clienti che siamo attivi sul campo, nel nostro lavoro il principio della riservatezza è sacro, e anche se nel contratto che abbiamo firmato non è specificato, prima di postare foto di questo tipo, sarebbe opportuno chiedere il permesso al cliente. A tal proposito, Julia Poger propone di pubblicare questi contenuti con l’hashtag #clientauthorized.

Quanto sono figo!

Un altro genere di contenuti molto popolare è il selfie dell’interprete con le star. In effetti lavorare al fianco di celebrità può dare un po’ alla testa ed è comprensibile che si desideri immortalare quel momento e condividerlo… ma forse mandarlo alla mamma e al proprio partner è più che sufficiente! Postare i nostri selfie con celebrità sui social network professionali soddisferebbe solo il nostro desiderio di autocompiacimento, senza apportare alcun contributo a chi ci legge e soprattutto, potrebbe danneggiare l’immagine professionale che dovremmo sempre e comunque veicolare.

Che relatore tremendo!

Capita a tutti ogni tanto di ritrovarsi a tradurre relatori complicati, se non impossibili, ed è umano avere il desiderio di sfogarsi un po’ con qualcuno per esprimere la propria frustrazione. La buona notizia è che esistono gli amici e i familiari 🙂 Se invece decidiamo di rendere pubblico il nostro sfogo sul nostro profilo Twitter, teniamo presente che non è escluso che il nostro cliente possa leggere il nostro post (a maggior ragione se usiamo tag e hashtag troppo eloquenti). Beh, se dovesse succedere, è probabile che il cliente non apprezzi le nostre esternazioni e che non ci coinvolga nuovamente in occasioni future.

Notizie in tempo reale

Un modo in cui invece i social possono certamente aiutarci è usarli come fonte di notizie in tempo reale. Facciamo un esempio concreto: supponiamo che stiamo lavorando al congresso annuale di Confindustria e il moderatore all’improvviso inizi a leggere un comunicato che non ci è stato fornito in precedenza. E’ molto probabile che il comunicato sia stato postato su uno dei social network di Confindustria: basterà monitorare i profili social del nostro cliente per evitare di essere presi in contropiede.

Per finire, segnalo:

Manifestante ucraina

Come si chiama la capitale dell’Ucraina?

Le terribili notizie degli ultimi dieci giorni hanno giustamente portato al centro della ribalta l’Ucraina. Ormai anche i non specialisti di quella zona del mondo hanno un’idea di dove si trovino le principali città del paese dell’Europa dell’Est. In particolare, i riflettori sono puntati sulla capitale dell’Ucraina, che in italiano viene convenzionalmente chiamata Kiev.

Tuttavia il modo in cui chiamiamo la capitale ucraina è basata sulla traslitterazione russa “Киев”, che si pronuncia appunto “Kiev” e che ha preso piede in occidente durante il periodo sovietico. Gli ucraini, invece, chiamano la loro città più importante “Київ”, che si pronuncia “Kyiv”.

Se nel nostro piccolo vogliamo esprimere il nostro sostegno dei confronti della popolazione ucraina, il minimo che possiamo fare è chiamare la loro capitale Kyiv, mettendo da parte la versione associata alla russificazione forzata.

Per chi volesse approfondire il tema, consiglio questo articolo del Guardian.

Quando comincio a tradurre in una videoconferenza?

Dall’arrivo della pandemia, per molti di noi le piattaforme di videoconferenza sono diventate una realtà quotidiana. Ormai è assolutamente normale iniziare la giornata con una riunione con i colleghi di ufficio su Teams, seguita da una videoconferenza con un cliente su Skype e da una formazione via webinar su Zoom.

Così come le riunioni in presenza, solitamente anche gli incontri di lavoro virtuali iniziano con un momento più informale in cui si rompe il ghiaccio: i partecipanti si salutano, si scambiano qualche parola e solo dopo si inizia davvero a parlare di lavoro. Negli eventi in presenza la parte informale si svolge tipicamente al buffet: si arriva, si prende un caffè e ci si chiede come sono andate le vacanze, come stanno le rispettive famiglie, ecc. A un certo punto il moderatore prende posto e accende il microfono per richiamare tutti all’ordine. Piano piano i partecipanti si siedono e il moderatore dà ufficialmente inizio ai lavori accendendo il microfono e dicendo qualcosa di simile a: “Benvenuti a tutti, sono lieto di vedervi qui”.

Durante gli eventi in presenza per noi interpreti è molto semplice individuare il momento in cui dobbiamo a nostra volta accendere il microfono e iniziare a tradurre. Ma come facciamo a capire quando dobbiamo iniziare a tradurre se l’incontro si tiene in videoconferenza?

Negli eventi a distanza purtroppo non esiste una cesura così netta tra le chiacchiere e il lavoro vero e proprio, perché i microfoni sono accesi sin dall’arrivo dei partecipanti. Immaginiamo ad esempio una conferenza di un gruppo internazionale con 30 partecipanti in cui ciascuno accede il microfono e dice qualche parola di saluto. Noi interpreti che cosa facciamo? E’ impossibile tradurre tutto, oltre che inutile, anche perché spesso in quella fase tutti tendono a parlare in inglese per essere compresi da tutti.

Il problema è che se iniziamo a tradurre tardi si diffonde il panico perché tutti credono che ci sia qualche problema tecnico e nel giro di 5 secondi compaiono nella chat 20 messaggi di allarme del tipo: “No traduzione”, “Non si sente l’interprete”, “Ci sono problemi sul canale francese” o semplicemente “Francese??!!!”.

Ma anche partire troppo presto può causare qualche imbarazzo perché c’è il rischio di tradurre le parole di un partecipante che è inconsapevole di avere il microfono acceso (ad esempio una delegata che dice al marito: “Uffa, non vedo l’ora che finisca questa riunione!”) o uno scambio confidenziale tra due partecipanti (ad esempio due commerciali che concordano gli ultimi dettagli di una strategia da proporre a un cliente che sta partecipando alla riunione: “Proviamo a proporgli questo prezzo e vediamo se ci casca”).

Ogni volta che mi trovo nella situazione “inizio a tradurre o aspetto ancora?” immagino un direttore d’orchestra che compare magicamente sullo schermo del mio computer per darmi il via al momento giusto. Dato che questo purtroppo non avviene nella realtà, sta a me individuare il momento più adatto per cominciare a tradurre, basandomi sull’ascolto e sul buon senso. Ecco qualche suggerimento.

  • Quando la videoconferenza è trasmessa live, c’è poco spazio per le incertezze: basta prendere come riferimento l’inizio della diffusione, segnalata da una scritta o da un simbolo.
  • Se l’incontro prevede la presenza di un moderatore, è lui la persona che dobbiamo tenere d’occhio: con ogni probabilità ci sarà un momento in cui richiamerà tutti all’ordine e dirà qualcosa tipo: “Direi che possiamo cominciare”.
  • Quando ci rendiamo conto che la conversazione in corso riguarda tematiche personali, probabilmente i partecipanti sono ancora nella fase pre-incontro di lavoro. Meglio aspettare.
  • Se la conversazione riguarda tematiche personali, ma coinvolge altri partecipanti, che vengono chiamati per nome, può essere opportuno fare quantomeno una sintesi di quello che è stato detto. Esempio: una riunione di un’azienda italiana con 5 commerciali americani in cui un dirigente italiano dice ad un altro: “Sono appena rientrato dal Texas, dove ho incontrato John. Ci siamo divertiti un sacco, vero John?” laddove John è uno dei cinque commerciali americani. Anche se John non capisce l’italiano, ha sentito il suo nome e probabilmente si chiederà perché, quindi l’interprete dovrebbe a mio avviso accendere il microfono e riassumere brevemente il contenuto dello scambio.
  • In extremis, se proprio la conversazione va avanti a oltranza e ancora non ci sono segnali chiari che ci fanno capire che l’incontro di lavoro è ufficialmente iniziato, possiamo sempre contattare il moderatore (o l’eventuale responsabile dell’agenzia che gestisce l’evento) tramite un messaggio privato sulla chat o chiedergli nella sua lingua (quindi uscendo sul canale che sta ascoltando) se dobbiamo iniziare a tradurre. Ovviamente è una strategia di cui non abusare in quanto certamente la più invasiva.

La decisione dell’interprete di cominciare a tradurre o aspettare in una videoconferenza mette ancora una volta in evidenza che il nostro ruolo va ben oltre il mero trasporto di parole da una lingua all’altra, ma comporta tutta una serie di decisioni relative alla gestione dell’evento comunicativo che ci rendono parte attiva nella costruzione della comunicazione.

Come si trasformerà il settore dell’interpretazione?

Oggi sono in vena di previsioni. Non parlo delle previsioni del tempo, ma di come cambierà il mondo dell’interpretazione nei prossimi anni. Dall’inizio della pandemia siamo stati tutti travolti da un vortice di cambiamenti e molti interpreti hanno sperimentato l’interpretazione simultanea a distanza (RSI) per la prima volta. Certo, alcuni erano già preparati mentalmente ed equipaggiati materialmente, ma la maggior parte degli interpreti (me compresa) sono stati colti alla sprovvista.

Bisogna dirlo: il cambiamento è stato radicale. La vita di un interprete pre-pandemia era fatta di viaggi frequenti, lunghe giornate di lavoro in cabina fianco a fianco con i colleghi, strette di mano con i clienti (senza guanti e senza gel igienizzante!!!), vestiti eleganti, capelli in ordine e piacevoli pause caffè in compagnia.

Ora invece la nostra realtà quotidiana è punteggiata da lunghe permanenze in casa, giornate di lavoro solitarie davanti al PC, conversazioni coi clienti su mille mila piattaforme diverse, tuta e pantofole, chiome indomate e tazze di thé in compagnia del cane.

Ma che cosa succederà quando la pandemia sarà (speriamo presto) alle nostre spalle?

A mio parere, sarà impossibile tornare indietro. Anche se obtorto collo, la pandemia è stata un’opportunità sia per noi, che per i nostri clienti di imparare nuove modalità di lavoro e di apprezzarne anche i lati positivi (ne ho parlato in questo post). Se è vero che incontrarsi di persona faccia a faccia è sempre il modo più efficace di comunicare, bisogna riconoscere che l’interpretazione a distanza permette a noi e al cliente di risparmiare sui costi di trasferta, di conciliare in modo più semplice lavoro e famiglia, di coinvolgere anche partecipanti e/o colleghi distanti migliaia di chilometri e di ridurre il nostro impatto ambientale.

Per questo, se dovessi lanciarmi in previsioni, direi che in futuro le due modalità in presenza e a distanza impareranno a convivere: alcuni eventi con interpretazione continueranno a svolgersi in presenza, ad esempio quelli che durano svariati giorni e/o dai contenuti più delicati (convegni medici, convention aziendali, incontri di alto livello), mentre gli incontri più brevi e puntuali (consigli di amministrazione di routine, riunioni di aggiornamento aziendali, conferenze stampa) passeranno definitivamente alla modalità RSI.

Se sarà così, sarà anche il ruolo stesso dell’interprete ad evolversi, per avvicinarsi sempre di più a quello di consulente a tutto tondo. Come è già evidente per molti di noi, non sarà più sufficiente tradurre contenuti da una lingua all’altra: il nostro compito sarà accompagnare il cliente nell’identificazione della configurazione più appropriata per il suo evento. Saremo noi a suggerirgli qual è la tecnica di interpretazione più adatta, se è meglio la modalità in presenza o a distanza e, in caso di interpretazione a distanza, qual è la soluzione tecnica più efficace.

Certo, questo presuppone che dovremo metterci in gioco e superare quella che per alcuni interpreti è una paura quasi atavica della tecnologia. Dovremo imparare a districarci tra dozzine di software dedicati, che da qualche mese a questa parte spuntano come funghi, e centinaia di dispositivi hardware (microfoni, cuffie, mixer, ecc). Ma del resto, la voglia di imparare non è forse una delle caratteristiche più salienti di un interprete?

Feedback tra colleghi: quando e come

Durante gli anni di formazione tutti i futuri interpreti hanno ricevuto e dato feedback fino allo sfinimento. Conservo ancora bellissimi ricordi delle infinite sessioni di esercizio di interpretazione simultanea e consecutiva fatte all’università (o al bar durante le pause) in cui a turno pronunciavamo discorsi per fare esercizio, dandoci reciprocamente un feedback. A proposito, per chi fosse alla ricerca di siti su cui cercare discorsi, ecco qualche spunto.

Ricevere un feedback da un collega è estremamente utile, perché è l’unico modo di migliorare, ma ahimè quando si inizia a lavorare, spesso non c’è più occasione di averlo, per mancanza di tempo o voglia, a meno che non si faccia parte di un gruppo di esercizio o non si conosca un collega disponibile a fare uno scambio.

In questo post vorrei parlare di quando e come dare un feedback in un contesto professionale (ossia, fuori dall’università). Innanzitutto, quando è opportuno fornire un feedback ai colleghi? Semplice: quando un collega ce lo chiede. Sconsiglio vivamente di partire in quarta con commenti e annotazioni di nostra iniziativa senza che ci venga chiesto espressamente, a maggior ragione se stiamo lavorando con un(a) collega che conosciamo poco e/o che ha alle spalle più anni di esperienza di noi.

Nel momento in cui invece un(a) collega ci chiede espressamente un feedback, come è bene fornirlo? Fornire un feedback in maniera costruttiva non è affatto facile e ci vuole molta esperienza per imparare a farlo. In questo video ci sono alcuni consigli applicabile in tutti contesti.

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Nell’ambito specifico dell’interpretazione, ecco alcune dritte per evitare situazioni imbarazzanti.

  • Non siamo obbligati. Possiamo rifiutarci se non siamo in grado di farlo o se mentre il collega lavorava ci siamo fatti gli affari nostri (male!)
  • Evitiamo tassativamente un atteggiamento arrogante. Fare i saputelli metterebbe a disagio il/la collega, che potrebbe non riuscire a lavorare al meglio, e poi… chi è al riparo da errori?
  • Siamo specifici. Non serve a nulla dire: “Non andava bene”. Al contrario, è utile fornire esempi concreti, come ad esempio: “Al posto della parola X a mio parere sarebbe stato meglio usare la parola Y”.
  • Utilizziamo la tecnica del sandwich. Diciamo prima le cose positive, poi quelle migliorabili, e infine altre positive per dare un parere sincero, ma senza scoraggiare il/la collega.
  • Suddividiamo i commenti per argomenti: ad esempio omissioni, errori di contenuto, imprecisioni grammaticali, qualità della resa, ecc.
  • Facciamo particolarmente attenzione alle tendenze ricorrenti piuttosto che a una singola parola che non andava bene. Ad esempio: “Ho l’impressione che tendi a fare molte pause piene”.
  • Non limitiamoci a dire quello che non va, ma cerchiamo di dare anche consigli per migliorare. Ad esempio: “Mi sembra che a volte non abbia chiuso le frasi, forse potresti provare a utilizzare la tecnica del salame”.

E voi avete modo di ricevere e dare un feedback a un collega?

Che cosa possiamo imparare dall’isolamento?

Il coronavirus si sta rivelando un dramma immenso per chi si è ammalato in prima persona o ha perso uno dei propri cari, e quantomeno una grande complicazione quotidiana per chi, come me, ha avuto la fortuna di non essere toccato direttamente. Siamo rintanati in casa da settimane e più le giornate si fanno soleggiate e le temperature gradevoli, più siamo insofferenti. Tuttavia, anche in questa situazione che non ci saremmo mai augurati di vivere, possiamo imparare qualcosa sia come persone che come professionisti.

Fa bene staccare ogni tanto

Certo, questa volta non abbiamo avuto molta scelta, ma per chi come noi interpreti è abituato a girare in continuazione come trottole impazzite, un po’ di riposo non guasta. E’ il momento giusto per concederci qualche ora di sonno extra e fare il pieno di energia per essere carichi quando ci sarà la ripresa (perché prima o poi ci sarà).

Non esiste solo il lavoro

Coloro i quali nella vita quotidiana si dedicano solo e soltanto al lavoro, in questo periodo stanno soffrendo ancora di più perché, archiviate le pulizie di primavera, non hanno molto altro da fare. Il tanto tempo libero a disposizione potrebbe essere un’occasione per riprendere i contatti con un vecchio amico che non sentiamo da mesi o per concederci i piccoli piaceri della vita, come leggere un libro che aspetta da mesi sul comodino in attesa di essere letto, guardare la quarta stagione di “La casa di carta” o bere un the in giardino senza guardare l’orologio.

Mai smettere di fare progetti

Anche se in circostanze normali le nostre vite sono talmente intense che finiamo per credere che non ci sia spazio per fare progetti, è sempre bene avere a portata di mano carta e penna per fare una lista dei nostri futuri traguardi e tirarla fuori nei momenti liberi. In caso contrario, al momento opportuno rischiamo di dimenticarceli, sprecando quel tempo prezioso che invece ora abbiamo a profusione. Queste settimane possiamo finalmente cogliere l’occasione per aggiornare il nostro sito, (ri)scrivere il CV, fare un corso online, fare la domanda di adesione a un’associazione professionale… e chi più ne ha più ne metta: usiamolo bene! Per chi fosse a corto di idee, ecco qualche suggerimento.

Attenzione al conto in banca

Per definizione noi freelance siamo abituati all’imprevedibilità delle entrate, condizione che ci insegna ben presto a fare come la formica più che come la cicala. Ovviamente nessuno di noi avrebbe mai potuto prevedere mesi interi di interruzione del lavoro, ma chi non aveva un gruzzoletto da parte sta avendo ancora più difficoltà. Sarebbe bene non dimenticarlo nei periodi di vacche grasse.

Diversificare le attività.

Noi interpreti abbiamo iniziato a subire le conseguenze della diffusione del coronavirus sin dai primi contagi: tutti i convegni sono stati immediatamente cancellati e gli spostamenti sono diventati impossibili. In questo contesto chi di noi si dedica ad altre attività, come la traduzione, l’insegnamento, la correzione di bozze, il voice over, ecc. è riuscito a cavarsela un po’ meglio.

E voi avete altri suggerimenti? Buona settimana, e speriamo che l’isolamento finisca presto e che ci renda persone e professionisti migliori.

Il valore aggiunto di un professionista

Qualche tempo fa ho avuto un grosso problema in casa: una perdita dalla colonna di scarico del bagno, un vero incubo! Senza pensarci due volte, la prima cosa che ho fatto è stato chiamare un idraulico consigliato da un conoscente, ossia un professionista del settore che probabilmente aveva già fatto il lavoro di cui avevo bisogno decine, se non centinaia di volte, e che infatti ha risolto rapidamente il mio problema.

Fare ricorso a un professionista per risolvere un problema potrebbe sembrare ovvio, ma in realtà non sempre è così. Spostandoci nel settore dell’interpretazione e della traduzione, infatti, non sempre si applica lo stesso ragionamento. Ho perso ormai il conto delle volte che mi sono sentita dire che per una traduzione o un’interpretazione si poteva fare a meno di professionista con affermazioni del tipo: “Mi arrangio da solo” oppure “Chiedo a mia nipote che questa estate ha fatto un corso in Inghilterra”.

In realtà soluzioni approssimative danno risultati ugualmente approssimativi, con conseguenze a volte disastrose. Io sono convinta del fatto che la preparazione e la professionalità abbiano ancora un valore aggiunto, che riassumerò in cinque punti.

Efficacia

E’ banale, ma non bisogna dimenticare che una traduzione amatoriale, fatta da una persona con una media conoscenza di una lingua straniera, non avrà mai la stessa efficacia di una traduzione realizzata da un traduttore professionista con anni di esperienza. Non mi stancherò mai di dirlo: per lavorare come interprete o traduttore conoscere una lingua straniera è fondamentale, ma non sufficiente: occorre tutto un bagaglio di conoscenze e competenze che non si possono improvvisare.

Tempi

Può essere divertente ogni tanto dilettarsi facendo cose che non si sono mai fatte prima, ma quando i tempi sono stretti, ad esempio se occorre la traduzione di un articolo da pubblicare su una rivista scientifica entro una settimana, non c’è tempo per fare esperimenti e nessuno è più veloce di un traduttore professionista.

Tranquillità

Affidarsi a un professionista di fiducia ci dà tranquillità e sicurezza: la nostra esigenza sarà soddisfatta da una persona con esperienza, quindi non dobbiamo più preoccuparcene o temere di aver fatto qualcosa di sbagliato.

Responsabilità

Nel momento in cui un professionista accetta un incarico, si impegna a svolgerlo nel migliore dei modi e a rimediare ad eventuali problemi. Nel mio esempio iniziale dell’idraulico, la mia colonna di scarico per qualche ragione che ignoro ha continuato ad avere qualche problema dopo il primo intervento, ma quando l’ho richiamato, l’idraulico è tornato e ha risolto, questa volta in maniera definitiva, il mio problema.

Risparmio

Sì, intendo proprio risparmio di denaro, perché una traduzione o un servizio di interpretazione approssimativo o sbagliato si traducono in una perdita di denaro. Un sito web aziendale con una traduzione raffazzonata comunicano un’immagine dell’azienda altrettanto raffazzonata, che probabilmente spingerà un potenziale cliente a cercare altrove.

E voi credete ancora nel valore aggiunto di un professionista? Preferite fare ricorso a un professionista o darvi al fai da te?

L’interprete sostenibile

In questo post, l’ultimo prima della pausa natalizia, vorrei toccare uno dei temi più attuali del momento: i cambiamenti climatici, tentando di rispondere ad una domanda ben precisa: come interpreti, in che modo possiamo ridurre il nostro impatto sull’ambiente?

Premessa: il nostro lavoro è potenzialmente molto inquinante. Per raggiungere le sedi delle conferenze in cui lavoriamo prendiamo molto spesso l’aereo per le tratte lunghe e l’auto per quelle più brevi, senza contare tutta la carta che utilizziamo per prendere appunti quando lavoriamo con la tecnica dell’interpretazione consecutiva.

Tuttavia, come tutti, nel nostro piccolo anche noi possiamo fare qualcosa per inquinare un po’ di meno. Ecco cinque semplici suggerimenti per essere più sostenibili:

  1. Evitiamo di stampare le slide o altri documenti del convegno se non è strettamente necessario: possiamo sempre vederle al computer.
  2. Se in cabina troviamo materiale stampato su un solo lato, al termine del convegno facciamo il giro delle cabine, recuperiamo quella carta (ovviamente a condizione che non contenga informazioni riservate) ed utilizziamola per comporre un blocco per la consecutiva: basterà inserire i fogli su un supporto rigido con una molla per bloccarli.
  3. Quando è possibile, cerchiamo di andare alle conferenze utilizzando i mezzi pubblici o condividendo l’auto con i colleghi.
  4. Portiamo con noi una borraccia per l’acqua e un thermos per il caffè per evitare di ritrovarci a fine giornata con eserciti di bottigliette di plastica vuoto (vedi foto) e bicchieri monouso.
  5. Quando è possibile, prepariamo per le trasferte un pasto da casa invece di comprare in giro o alle macchinette cibi monoporzione pieni di imballaggi (tra l’altro meno gustosi e salutari).

E voi avete altri suggerimenti per essere interpreti più sostenibili?

Buone feste natalizie e a rileggerci a gennaio!

Meglio un interprete uomo o donna?

In Italia ci sono ancora professioni ritenute più maschili che femminili o viceversa, anche se non sempre queste distinzioni sono legate a una reale motivazione. Tra le professioni ritenute tipicamente maschili ci sono il meccanico, il pompiere, l’idraulico e purtroppo, ancora troppo spesso, anche le posizioni di vertice in enti e pubblici e aziende. Viceversa, sono generalmente più associate alle donne professioni come l’insegnante, l’ostetrica, la badante e in generale tutte le professioni di cura. Ma l’interprete?

Non ho dati ufficiali alla mano, ma in maniera empirica posso dire con assoluta certezza che in Italia la professione dell’interprete è nettamente più rappresentata dalle donne che dagli uomini. Chiunque abbia messo piede in una facoltà di traduzione e interpretazione o di lingue straniere avrà certamente notato che i ragazzi rappresentano una sparuta minoranza rispetto alle ragazze e ancora oggi quando lavoro in équipe ci sono quasi sempre più colleghe che colleghi (se mai ce ne sono).

In generale, se un interprete è qualificato e sa fare il suo lavoro, il fatto che sia uomo o donna a mio avviso non dovrebbe avere alcuna importanza, ma a volte i clienti esprimono una preferenza specifica. In alcuni casi queste preferenze sono totalmente arbitrarie, arrivando talvolta persino a sminuire la nostra professionalità. Se ad esempio un cliente richiede un’interprete donna di una determinata fascia di età, con parametri fisici ben definiti e richieste specifiche in fatto di abbigliamento dovrebbe scattare l’allarme: c’è qualcosa che non va. Probabilmente il cliente non cerca un’interprete, ma una ragazza immagine. Non è un problema in sé: basta saperlo.

Esistono però situazioni in cui è effettivamente preferibile selezionare il sesso dell’interprete per ragioni reali. Ecco qualche esempio:

  • nel caso dell’interpretazione medica, una donna che deve sottoporsi a una visita ginecologica può legittimamente sentirsi più a suo agio con un’interprete donna (talvolta anche per motivi religiosi); viceversa per un paziente uomo, che può preferire un uomo per una visita andrologica;
  • nel caso dell’interpretazione radiofonica o televisiva a volte si preferisce abbinare un relatore uomo a un interprete uomo e viceversa per aiutare il pubblico a legare il personaggio che vede alla voce che sente;
  • casi particolari: ad esempio una volta mi è arrivata una richiesta per l’interpretazione di interviste a calciatori appena dopo una partita. Queste interviste si sarebbero svolte negli spogliatoi, quindi il cliente ha richiesto in maniera specifica un interprete uomo.

Conoscete altre situazioni in cui è legittimo specificare il sesso dell’interprete? Generalmente associate la professione dell’interprete più a una donna o a un uomo?