Che cosa possiamo imparare dall’isolamento?

Il coronavirus si sta rivelando un dramma immenso per chi si è ammalato in prima persona o ha perso uno dei propri cari, e quantomeno una grande complicazione quotidiana per chi, come me, ha avuto la fortuna di non essere toccato direttamente. Siamo rintanati in casa da settimane e più le giornate si fanno soleggiate e le temperature gradevoli, più siamo insofferenti. Tuttavia, anche in questa situazione che non ci saremmo mai augurati di vivere, possiamo imparare qualcosa sia come persone che come professionisti.

Fa bene staccare ogni tanto

Certo, questa volta non abbiamo avuto molta scelta, ma per chi come noi interpreti è abituato a girare in continuazione come trottole impazzite, un po’ di riposo non guasta. E’ il momento giusto per concederci qualche ora di sonno extra e fare il pieno di energia per essere carichi quando ci sarà la ripresa (perché prima o poi ci sarà).

Non esiste solo il lavoro

Coloro i quali nella vita quotidiana si dedicano solo e soltanto al lavoro, in questo periodo stanno soffrendo ancora di più perché, archiviate le pulizie di primavera, non hanno molto altro da fare. Il tanto tempo libero a disposizione potrebbe essere un’occasione per riprendere i contatti con un vecchio amico che non sentiamo da mesi o per concederci i piccoli piaceri della vita, come leggere un libro che aspetta da mesi sul comodino in attesa di essere letto, guardare la quarta stagione di “La casa di carta” o bere un the in giardino senza guardare l’orologio.

Mai smettere di fare progetti

Anche se in circostanze normali le nostre vite sono talmente intense che finiamo per credere che non ci sia spazio per fare progetti, è sempre bene avere a portata di mano carta e penna per fare una lista dei nostri futuri traguardi e tirarla fuori nei momenti liberi. In caso contrario, al momento opportuno rischiamo di dimenticarceli, sprecando quel tempo prezioso che invece ora abbiamo a profusione. Queste settimane possiamo finalmente cogliere l’occasione per aggiornare il nostro sito, (ri)scrivere il CV, fare un corso online, fare la domanda di adesione a un’associazione professionale… e chi più ne ha più ne metta: usiamolo bene! Per chi fosse a corto di idee, ecco qualche suggerimento.

Attenzione al conto in banca

Per definizione noi freelance siamo abituati all’imprevedibilità delle entrate, condizione che ci insegna ben presto a fare come la formica più che come la cicala. Ovviamente nessuno di noi avrebbe mai potuto prevedere mesi interi di interruzione del lavoro, ma chi non aveva un gruzzoletto da parte sta avendo ancora più difficoltà. Sarebbe bene non dimenticarlo nei periodi di vacche grasse.

Diversificare le attività.

Noi interpreti abbiamo iniziato a subire le conseguenze della diffusione del coronavirus sin dai primi contagi: tutti i convegni sono stati immediatamente cancellati e gli spostamenti sono diventati impossibili. In questo contesto chi di noi si dedica ad altre attività, come la traduzione, l’insegnamento, la correzione di bozze, il voice over, ecc. è riuscito a cavarsela un po’ meglio.

E voi avete altri suggerimenti? Buona settimana, e speriamo che l’isolamento finisca presto e che ci renda persone e professionisti migliori.

Il valore aggiunto di un professionista

Qualche tempo fa ho avuto un grosso problema in casa: una perdita dalla colonna di scarico del bagno, un vero incubo! Senza pensarci due volte, la prima cosa che ho fatto è stato chiamare un idraulico consigliato da un conoscente, ossia un professionista del settore che probabilmente aveva già fatto il lavoro di cui avevo bisogno decine, se non centinaia di volte, e che infatti ha risolto rapidamente il mio problema.

Fare ricorso a un professionista per risolvere un problema potrebbe sembrare ovvio, ma in realtà non sempre è così. Spostandoci nel settore dell’interpretazione e della traduzione, infatti, non sempre si applica lo stesso ragionamento. Ho perso ormai il conto delle volte che mi sono sentita dire che per una traduzione o un’interpretazione si poteva fare a meno di professionista con affermazioni del tipo: “Mi arrangio da solo” oppure “Chiedo a mia nipote che questa estate ha fatto un corso in Inghilterra”.

In realtà soluzioni approssimative danno risultati ugualmente approssimativi, con conseguenze a volte disastrose. Io sono convinta del fatto che la preparazione e la professionalità abbiano ancora un valore aggiunto, che riassumerò in cinque punti.

Efficacia

E’ banale, ma non bisogna dimenticare che una traduzione amatoriale, fatta da una persona con una media conoscenza di una lingua straniera, non avrà mai la stessa efficacia di una traduzione realizzata da un traduttore professionista con anni di esperienza. Non mi stancherò mai di dirlo: per lavorare come interprete o traduttore conoscere una lingua straniera è fondamentale, ma non sufficiente: occorre tutto un bagaglio di conoscenze e competenze che non si possono improvvisare.

Tempi

Può essere divertente ogni tanto dilettarsi facendo cose che non si sono mai fatte prima, ma quando i tempi sono stretti, ad esempio se occorre la traduzione di un articolo da pubblicare su una rivista scientifica entro una settimana, non c’è tempo per fare esperimenti e nessuno è più veloce di un traduttore professionista.

Tranquillità

Affidarsi a un professionista di fiducia ci dà tranquillità e sicurezza: la nostra esigenza sarà soddisfatta da una persona con esperienza, quindi non dobbiamo più preoccuparcene o temere di aver fatto qualcosa di sbagliato.

Responsabilità

Nel momento in cui un professionista accetta un incarico, si impegna a svolgerlo nel migliore dei modi e a rimediare ad eventuali problemi. Nel mio esempio iniziale dell’idraulico, la mia colonna di scarico per qualche ragione che ignoro ha continuato ad avere qualche problema dopo il primo intervento, ma quando l’ho richiamato, l’idraulico è tornato e ha risolto, questa volta in maniera definitiva, il mio problema.

Risparmio

Sì, intendo proprio risparmio di denaro, perché una traduzione o un servizio di interpretazione approssimativo o sbagliato si traducono in una perdita di denaro. Un sito web aziendale con una traduzione raffazzonata comunicano un’immagine dell’azienda altrettanto raffazzonata, che probabilmente spingerà un potenziale cliente a cercare altrove.

E voi credete ancora nel valore aggiunto di un professionista? Preferite fare ricorso a un professionista o darvi al fai da te?

L’interpretazione interrompe il flusso creativo?

Si è da poco conclusa la Festa del cinema di Roma e, al di là dei film presentati e della sfilata di star, si è molto parlato della conferenza stampa di Bill Murray, caratterizzata da vari cambiamenti di programma: dal ritardo dell’ospite d’onore, alle incursioni sul palco, alla decisione di fare a meno della traduzione perché avrebbe “interrotto il flusso creativo”.

Per chi non l’avesse visto, ecco un video con parte dell’intervento:

Questo simpatico siparietto mi ricorda molto l’intervento di Grillo all’Università di Oxford, di cui ho parlato in questo blog: tanto brillante dal punto di vista comico, quanto fallimentare dal punto di vista dell’efficacia traduzione.

Così come in quella situazione, anche qui il problema non è assolutamente l’interprete, che in questo caso è l’arcinota e arcinavigata Olga Fernando ma, ancora una volta, l’organizzazione della traduzione. Per la conferenza stampa di Bill Murray gli organizzatori hanno scelto di organizzare il servizio di interpretazione optando per un mix tra le tecniche di interpretazione consecutiva e di trattativa.

I relatori stranieri avrebbero quindi dovuto parlare per qualche minuto e poi lasciare spazio all’interprete per tradurre quanto appena detto. Vista la personalità vulcanica di Bill Murray e degli altri relatori stranieri non c’è da stupirsi che questo tipo di impostazione sia stata percepita come un limite alla libera espressione.

E infatti a mio parere l’errore, come nel caso nell’incontro di Beppe Grillo, sta a monte: è stata scelta una tecnica di interpretazione sbagliata, infatti con l’interpretazione simultanea non ci sarebbe stato alcun bisogno di “interrompere il flusso creativo” perché l’interprete avrebbe potuto seguire i relatori in tutti i loro ragionamenti senza alcuna pausa. In secondo luogo, fattore totalmente ignorato dagli organizzatori che hanno acconsentito a fare a meno dell’interpretazione, in questo modo tutto il pubblico avrebbe potuto seguire gli interventi dei relatori stranieri, senza escludere gli spettatori che, legittimamente, potrebbero non avere un livello di comprensione di inglese tale da seguire gli interventi.

Ancora una volta, per avere un servizio di interpretazione efficace e che non venga erroneamente percepito come un elemento di disturbo, è fondamentale non solo avere a disposizione interpreti professionisti, ma anche una gestione del servizio affidata a professionisti.

Le 10 virtù dell’interprete freelance (2)

Nello scorso post ho parlato di cinque virtù che secondo me non possono mancare a un interprete freelance. In questo post completerò la mia top 10 con altre 5.

Fiducia

L’interprete freelance lavora quasi sempre in squadra. Ci appoggiamo ai nostri colleghi quando siamo in cabina di simultanea e abbiamo bisogno di un suggerimento nei momenti di difficoltà, e dipendiamo dai colleghi di un’altra lingua per prendere il relais. In quei momenti dobbiamo fidarci, anche perché a volte non abbiamo scelta, e ricordarci che stiamo lavorando per lo stesso obiettivo: aiutare le persone a comunicare tra loro.

Lucidità

Non intendo che non bisogna arrivare in cabina ubriachi (cosa auspicabile :)), ma mi riferisco alla capacità di non farci prendere dal panico nei momenti topici: con discorsi molto rapidi, relatori ostici, quando parliamo in pubblico, ad esempio lavorando in consecutiva, o in presenza di un parterre particolarmente prestigioso. In quei momenti è normale che l’adrenalina si faccia sentire più del solito, ma bisogna riuscire a contenerla per dare il meglio di noi. Lucidità vuole anche dire riuscire a gestire i periodi di magra in maniera costruttiva: andare in panico non serve a niente, anzi è proprio in quei momenti che bisogna pensare a una strategia per uscire dall’impasse.

Lealtà

Dobbiamo essere leali prima di tutto nei confronti di noi stessi: per evitare che lo stress prenda il sopravvento è fondamentale riuscire a staccare quando il nostro corpo ce lo chiede, senza cercare di fare gli eroi. L’interprete deve inoltre essere leale nei confronti del cliente e di chi ascolta, cercando di trasmettere il messaggio nell’altra lingua nella maniera più completa possibile e senza distorsioni (evito volutamente il concetto di fedeltà perché è un termine controverso in ambito traduttivo). Infine, è fondamentale essere leali nei confronti dei nostri colleghi, evitando tassativamente di “rubare i clienti”, che oltre a essere eticamente sbagliatissimo, è anche il modo migliore per non lavorare più perché il mondo degli interpreti è un po’ come vivere in provincia: il paese è piccolo e la gente mormora.

Umiltà

Non mi risulta che esista un interprete immune dagli errori. Il nostro lavoro è difficile ed è inevitabile a volte sbagliare. Alcuni errori sono talmente piccoli da passare inosservati, altri invece sono potenzialmente molto pericolosi. Se ci rendiamo conto di aver detto una stupidaggine non trascurabile secondo me è molto meglio scusarci e/o correggerci il prima possibile per minimizzarne gli effetti piuttosto che disperdere energie inutili nel tentativo di nascondere il misfatto. Inoltre, umiltà vuole anche dire ricordare che il nostro ruolo non è mai quello di essere protagonisti, ma di permettere ad altre persone di comunicare tra loro.

Quel quid in più

Facciamo un lavoro a stretto contatto con le persone e tutti noi abbiamo un’inclinazione naturale a lavorare con coloro i quali ci troviamo bene. Quando è possibile e non sfocia nello sfruttamento, è sempre bello fare un gesto di generosità verso il cliente (come continuare a tradurre se il convegno finisce con 15 minuti di ritardo) o verso il collega (dargli un passaggio alla stazione): il nostro atteggiamento è la prima cosa che il cliente o il collega ricorderà di noi, prima ancora delle competenze tecniche.

Ovviamente la lista potrebbe continuare all’infinito. Voi quali virtù aggiungereste o cambiereste?

Sbocchi alternativi con una formazione da interprete

Quando frequentavo il corso di Laurea Magistrale in Interpretazione di Conferenza a Forlì la classe al completo (tra tutte le lingue) era composta da circa 30 studenti. A quasi 10 anni dalla laurea (o mamma mia, meglio se non ci penso…), a spanne direi che ad aver intrapreso la strada dell’interpretazione saremo una decina, quindi in percentuale circa il 30%. Ovviamente è un campione minuscolo e il rigore scientifico di questa statistica lascia molto a desiderare, ma “a sensazione” non credo che sia un dato molto lontano dalla realtà.

Dicevo quindi il 30%, una percentuale non molto alta: perché investire tempo, soldi ed energie in un percorso così impegnativo per poi non sfruttare le competenze acquisite? Bé, per tanti motivi: a volte per scelte personali, in altri casi pesano le mille variabili del mercato dell’interpretazione. Ma c’è una buona notizia: anche se si decide o si è costretti a cambiare strada, la formazione da interprete può essere riciclata, con i dovuti aggiustamenti, in molti modi diversi, dando accesso a sbocchi professionali alternativi.

Il traduttore

Potrebbe sembrare un salto breve, ma nella pratica ci sono differenze molto significative tra il lavoro dell’interprete e quello del traduttore, sia dal punto di vista dello stile di vita che nella pratica vera e propria. L’interprete viaggia spesso, mentre il traduttore lavora da casa. L’interprete lavora “in diretta” su discorsi orali e non può permettersi di ponderare per 10 minuti la miglior traduzione di una parola in quel determinato contesto, mentre il traduttore lavora su testi scritti e ha più tempo per dare sfogo al suo perfezionismo (pur non essendo immune dallo stress da consegna). Se le competenze linguistiche di partenza necessarie per esercitare le due professioni sono simili, cambiano radicalmente quelle tecniche e un interprete di formazione che vuole lavorare come traduttore a tempo pieno deve colmare alcune lacune, prima fra tutti deve essere in grado di padroneggiare i programmi di traduzione assistita (i cosiddetti CAT tools).

L’insegnante

Nell’ambito dell’insegnamento c’è una vasta gamma di opzioni possibili per chi ha una formazione da interprete: corsi di lingua per bambini, per adulti, in scuole statali, private, all’università, in aziende, ripetizioni private, corsi di interpretazione all’università o in enti privati, corsi di public speaking in presenza, online, webinar… insomma chi più ne ha più ne metta. Ovviamente fare formazione non è un percorso da sottovalutare perché avere delle conoscenze non vuol dire essere in grado di trasmetterle, ma chi sente la propensione per l’insegnamento ha molte possibilità da esplorare.

Il project manager

Molti neolaureati iniziano il loro percorso lavorativo in un’agenzia di traduzione. Pur non avendo mai fatto questa esperienza, credo sia utilissimo passare un po’ di tempo “dall’altra parte della barricata” per imparare a gestire le relazioni con i clienti, per comprendere la logica delle tariffe e per capire quello che le agenzie si aspettano dagli interpreti: tutte informazioni preziosissime se in seguito si decide di fare il salto nella libera professione.

Il commerciale estero

Anche questa un’opzione molto gettonata perché coniuga parte degli aspetti dinamici del lavoro da interprete (le trattative d’affari, i viaggi, l’utilizzo quotidiano delle lingue straniere), con la sicurezza di un contratto e di uno stipendio fisso.

Lavori in ambito turistico

E’ risaputo che chi lavora in ambito turistico non può fare a meno di conoscere le lingue straniere. In questo caso le opzioni sono le più disparate e variano da profili più “dietro le quinte” (dipendente di agenzia di viaggi, receptionist di hotel) a lavori più “nomadici” per chi proprio non riesce a staccarsi dalla valigia (staff di crociere, animatore turistico, scrittore di guide turistiche).

Osservatore elettorale

Questo è un caso reale di un’amica e collega con la formazione da interprete che di tanto in tanto parte per lunghe missioni in luoghi del mondo fuori dai sentieri battuti in occasione delle elezioni come osservatore elettorale dell’Unione Europea. Per questo profilo le competenze linguistiche sono fondamentali perché gli osservatori elettorali vanno nei Paesi di cui parlano la lingua, ma oltre a queste c’è bisogno di una preparazione specifica e approfondita.

Alcuni di questi profili sono conciliabili con il lavoro di interprete: molti colleghi interpreti fanno anche traduzioni (me compresa) e/o insegnano e l’amica osservatrice elettorale che ho citato prima lavora anche come interprete. Mentre a volte si rivelano deviazioni temporanee che sbucano sulla strada dell’interpretazione, arricchendo il nostro bagaglio di conoscenze. E voi conoscete altri sbocchi lavorativi per chi ha la formazione da interprete?

Che cos’è legittimo aspettarsi da un interprete? (…e cosa non lo è?)

Chi non ha mai usufruito dei servizi  di un interprete ha spesso idee abbastanza confuse sul ruolo che svolge e su cosa è legittimo aspettarsi da lui/lei. Come è stato più volte sottolineato in questo blog, la professione dell’interprete, così come quella del traduttore, in Italia non è regolamentata, né è legata a un albo professionale, quindi la questione della deontologia professionale ricade principalmente sui singoli professionisti e, per chi ne fa parte, sulle associazioni professionali.

Per chi volesse approfondire la posizione delle associazioni professionali, ecco i link ai codici deontologici delle maggiori associazioni di interpreti attive in Italia.

Vista la mancanza di norme precise, una domanda potrebbe sorgere spontanea: per un cliente che cosa è legittimo aspettarsi da un interprete? Ecco quelli che, a mio avviso, sono i 3 aspetti più importanti.

Discrezione

La prima preoccupazione di molti clienti. Ho perso il conto delle volte in cui un cliente si è rifiutato di inviarmi le presentazioni powerpoint prima di una conferenza perché “il materiale è riservato”. Peccato che spesso avere questo materiale in anticipo incide moltissimo sulla qualità del servizio, quindi metterlo a disposizione dell’interprete in realtà dovrebbe essere un interesse prima di tutto del cliente. Purtroppo non è sempre facile spiegare a un cliente che è fondamentale che un’interprete si prepari adeguatamente prima di una conferenza, ma soprattutto non è facile spiegargli che può contare sulla nostra riservatezza perché siamo dei professionisti. Con clienti molto restii a trasmettere in anticipo dati che reputo importanti per assicurare una buona qualità del servizio, personalmente propongo di sottoscrivere un accordo di riservatezza, anche se nella maggior parte dei casi il fatto stesso di ricevere questa proposta rassicura il cliente, che a quel punto decide di inviare la presentazione.

Preparazione

Un elemento già illustrato nel punto precedente. In sintesi: per un cliente è legittimo aspettarsi un servizio di qualità; per fornire un servizio di qualità, l’interprete deve prepararsi, ma per prepararsi ha bisogno di ricevere dal cliente tutte le informazioni e le risorse necessarie.

Puntualità

L’interprete è reclutato per aiutare i partecipanti di un determinato evento a comunicare e per farlo deve innanzitutto essere presente. Per me essere puntuale vuol dire arrivare sul posto almeno 30 minuti prima dell’inizio della conferenza per fare le prove tecniche e scambiare qualche parola con il cliente / gli organizzatori e gli oratori per controllare che sia tutto a posto.

Cambiando punto di vista, invece, per un cliente che cosa NON è legittimo aspettarsi da un interprete? Per equità, mi limito anche in questo caso ai 3 punti per me più importanti.

Lavoro in solitaria / senza pause / ore extra

Affinché un interprete fornisca un servizio di qualità, è necessario che operi in condizioni adeguate. Se un cliente si aspetta che l’interprete accetti di lavorare in simultanea da solo, senza pause, durante la pausa pranzo o se dà per scontato che acconsenta a lavorare un’ora in più rispetto a quanto stabilito, oltre a fare un torto al professionista che ha davanti, crea un problema soprattutto a sé stesso, perché fa sì che l’interprete non sia nella posizione di garantire un buon servizio.

Attrezzatura scadente

Può sembrare banale, ma l’attrezzatura può fare un’enorme differenza. Lavorare per 7 ore con il fischio in cuffia metterebbe a dura prova anche un maestro di yoga e reputo è scorretto pretendere che l’interprete accetti di lavorare in condizioni che non gli permettono di fare un buon lavoro solo per risparmiare due lire sull’installazione dell’attrezzatura.

Disponibilità sempre e comunque

E’ molto gratificante riuscire a stabilire una collaborazione duratura tra cliente e interprete perché porta benefici a entrambe le parti, ma non bisogna mai dimenticare che l’interprete è un libero professionista e non un dipendente. Di conseguenza, non è tenuto a rispondere al telefono alle 1o di sera o la domenica e ha il diritto di rifiutare incarichi offerti dal cliente se è già impegnato o per altre ragioni personali.

Altri suggerimenti, sia da una parte che dall’altra?

 

La divisa dell’interprete

Qualche giorno fa mia mamma mi ha raccontato una storia che mi ha fatto molto ridere. Recentemente è andata a trovare uno zio anziano che non vede molto spesso. Quando lo zio ha chiesto notizie di me, gli ha raccontato del mio lavoro e la prima domanda che lo zio le ha fatto è stata: “Ma allora porta una divisa?”. Non so quale ragionamento lo abbia portato a questa deduzione, ma devo riconoscergli il merito di avermi fatto venire l’idea di questo post, che riguarda appunto il tipo di abbigliamento che dovrebbe usare un’interprete in servizio. Uso volontariamente l’apostrofo perché mi concentrerò solo sull’interprete donna.

Partiamo dal presupposto che un’interprete viene chiamata a un evento per svolgere un ruolo molto preciso: facilitare lo scambio tra persone che non parlano la stessa lingua, quindi dovrebbe avere un’immagine professionale e discreta. Questo principio vale soprattutto quando lavoriamo in consecutiva o chuchotage, quindi consapevoli dal principio del fatto che saremo su un palco o comunque di fronte a un pubblico. Tuttavia, dovrebbe essere seguito anche quando lavoriamo in simultanea perché, anche se è probabile che saremo quasi sempre rintanati in cabina, arriverà prima o poi il momento della pausa caffè o potrebbe succedere che a causa di un problema tecnico saremo chiamati a fare chuchotage o consecutiva in sala. Ecco, in quella situazione, non è il caso di presentarsi in infradito.

Ma qual è l’abbigliamento più opportuno? Nel 90% dei casi un classico tailleur (sia gonna che pantaloni) con delle scarpe eleganti sono sempre la risposta giusta, ma vanno benissimo anche soluzioni simili. Qualche anno fa ho lavorato in un’azienda di abbigliamento e quando sono arrivata sul posto ho chiesto alla signora dell’accoglienza indicazioni per la sala precisando che ero l’interprete e lei mi ha detto: “Si vede, è proprio vestita da interprete”. Avevo un tailleur molto classico, quindi direi che ci ho preso 🙂

Detto questo, però, ci sono contesti inusuali in cui il classico tailleur potrebbe non essere la scelta giusta. Ad esempio (e qui cito situazioni reali): cantieri, discariche, fabbriche, spiagge, barche, rifugi di montagna… In questi luoghi è meglio privilegiare la praticità, ma sempre cercando di mantenere un’immagine sobria. Per non sbagliare, chiediamo al cliente o all’agenzia il luogo e le condizioni esatte dell’evento e certamente sapremo qual è l’abbigliamento più adeguato.

Il CV dell’interprete freelance

Nonostante l’esplosione di social network di tutti i tipi, sia professionali che non, almeno in Italia lo strumento principe per presentarsi come professionista è e rimane il curriculum vitae. Questo vale soprattutto per chi è alla ricerca di un contratto di lavoro come dipendente o dirigente, ma non è detto che valga lo stesso  anche per chi lavora come freelance.

In molti settori, una valida alternativa al CV è offerta dal portfolio, ossia una selezione di lavori svolti in passato. E’ quello che fanno spesso grafici, architetti, artisti, ma anche traduttori.

Per gli interpreti ovviamente non c’è la possibilità di creare un portfolio, quindi potremmo dover tornare al CV o, in alternativa, elaborare una presentazione di altro tipo (powerpoint, brochure o altro). In questo post vorrei concentrarmi sul CV.

Elaborare un CV efficace è molto difficile perché è strettamente correlato a chi andrà a leggerlo e può variare in misura rilevante in base a fattori come:

  • la cultura del destinatario: ad esempio in Italia resiste ahimé la tendenza a fare CV in formato romanzo, mentre nei Paesi anglofoni è tipicamente di 1 pagina, al massimo 2
  • il tipo di destinatario: a seconda che ci rivolgiamo a un’agenzia, a un cliente diretto o a un collega e/o chef d’équipe dobbiamo dosare bene i tecnicismi (siamo sicuri che un’azienda che produce pavimenti sappia che cos’è lo chuchotage?) e le informazioni che chi legge si aspetta di trovare

Ma quali sono gli elementi che non possono proprio mancare?

  • dati di contatto
  • titolo professionale (interprete / interprete e traduttore)
  • link al nostro sito
  • servizi svolti (interpretazione, traduzione, revisione, voice-over, ecc.)
  • combinazione linguistica (con indicazione delle lingue attive e passive sottoforma di elenco o di griglia)
  • anni di esperienza / numero di giornate / parole tradotte
  • associazioni professionali di appartenenza
  • eventuali settori di specializzazione
  • formazione (universitaria e altri corsi attinenti alla professione)
  • certificazioni o accreditamenti professionali

Oltre a queste informazioni base, a seconda dei casi, possiamo aggiungere anche:

  • una lista di clienti con cui lavoriamo o abbiamo lavorato in precedenza (previa loro autorizzazione)
  • una nostra foto professionale
  • una selezione degli incarichi più rilevanti svolti in passato
  • competenze informatiche relative al nostro settore (in primis i CAT tools per gli interpreti-traduttori)
  • soggiorni all’estero
  • altre esperienze lavorative (se attinenti a una delle nostre specializzazioni)
  • ambiti lavorativi come conferenze, fiere, trattative commerciali, ecc (utili soprattutto se a leggere il nostro CV è un’azienda che non sa esattamente in quali e quanti ambiti possiamo essere impiegati)
  • eventuali traduzioni pubblicate (per gli interpreti-traduttori)

Tenderei invece a scartare:

  • il CV in formato Europass perché non flessibile nei contenuti e nella grafica
  • data e luogo di nascita
  • stato civile
  • indicazioni come “patente B” o “automunito”
  • l’intera lista delle giornate di interpretazione (diventerebbe troppo lungo: molto meglio inserire un link cliccabile a una pagina del nostro sito con la lista delle giornate)

E infine un consiglio finale: vale la pena soffermarsi sulla grafica per rendere il nostro CV memorabile già al primo colpo d’occhio e invogliare chi lo riceve a leggerlo per intero.

Per chi fosse interessato ad approfondire il tema, segnalo con piacere l’utilissimo ebook in inglese di Marta Stelmaszak You need a CV that works scaricabile gratuitamente dal link inserito. Buon CV!

Quando è meglio rifiutare un incarico di interpretazione?

Uno degli aspetti più affascinanti, ma allo stesso tempo più complicati del lavoro dell’interprete e del traduttore è che veniamo costamente messi di fronte ai nostri limiti. Ci sono delle situazioni in cui riusciamo a fare quel salto di qualità che ci permette di superarli, ma ci sono anche delle situazioni in cui è chiaro che un determinato incarico non è (ancora) alla nostra portata.

In quei casi una buona opzione può essere rifiutare l’incarico e proporre al nostro cliente/all’agenzia il nominativo di un collega che riteniamo adatto al ruolo. In questo post vorrei elencare alcune situazioni in cui a mio avviso è più saggio rifiutare un incarico di interpretazione.

  1. Quando il tema ci è totalmente alieno e non abbiamo tempo sufficiente per prepararci. Esempio: oggi mi chiama una collega che ha l’influenza e chiede se posso sostituirla per una simultanea sui trapianti del rene che si svolge domani e io non ho mai fatto un convegno di medicina. E’ evidente che in una circostanza di questo tipo non sarei nella posizione di fare un buon lavoro, quindi è più saggio rifiutare. In questo modo eviterò di fare un disservizio al pubblico, di rimediare una cattiva figura con il committente e di perdere credibilità anche agli occhi della collega che mi aveva segnalato.
  2. Quando non ci sentiamo sicuri della lingua. Esempio: ho da poco aggiunto il greco come nuova lingua e per il momento la uso solo come lingua C (ossia traduco solo DA e non VERSO quella lingua). Un cliente mi chiede se sono disponibile per una simultanea VERSO il greco. Improvvisare la competenza attiva di una lingua non è un’idea brillante, perché verrei messa in difficoltà dopo nemmeno 5 minuti di convegno. Ne vale la pena? Per i motivi del punto precedente secondo me no.
  3. Quando non abbiamo familiarità con una determinata tecnica di interpretazione. Esempio (in questo caso reale): un amico traduttore che vive negli Stati Uniti qualche anno fa ha ricevuto un’offerta da parte di un’importante emittente televisiva americana che gli chiedeva di interpretare in simultanea in diretta televisiva il discorso di Papa Francesco dopo l’annuncio della sua elezione. Lui non aveva mai fatto simultanea e giustamente ha rifiutato un incarico così impegnativo perché il rischio di rimediare una figuraccia di fronte a un pubblico così folto era abbastanza concreto (anzi, praticamente certo).

Una precisazione necessaria: è impossibile fare in anticipo una stima accurata della difficoltà di un incarico di interpretazione. Quante volte ci siamo sentiti dire da un’agenzia che quel lavoro sarebbe stata “una passeggiata” per poi ritrovarci con relatori che andavano a  100 km/h o che tiravano fuori a sorpresa il bilancio come un coniglio dal cilindro? Ogni incarico implica una certa dose di imprevisti e saremo sempre chiamati a “buttarci”, ma è importante sviluppare la capacità di prevedere se ci attende un rischio calcolato oppure una catastrofe.

Interpretazione a distanza

Oggi mentre bazzicavo su uno dei miei canali Youtube preferiti con discorsi per fare esercizio di interpretazione (Interpreters in Brussels Practice Group) mi sono imbattuta casualmente in un bel discorso in italiano su un tema che riguarda proprio il mondo dell’interpretazione: l’interpretazione a distanza o in remoto.

Si tratta di una modalità di interpretazione contraddistinta, come dice il nome stesso, dal fatto che i tre attori tradizionali dell’evento interpretato (oratore, pubblico e interprete) non si trovano nello stesso luogo. Come viene spiegato nel video che trovate qui sotto, ci sono varie tipologie di interpretazione in remoto: alcune utilizzano la tecnica dell’interpretazione simultanea, altre l’interpretazione consecutiva e altre ancora l’interpretazione di trattativa.

Finora l’unica tipologia di interpretazione a distanza che ho avuto modo di sperimentare è stata l’interpretazione telefonica ed effettivamente ho potuto constatare quanto l’interpretazione a distanza sia impegnativa poiché, a differenza dell’interpretazione in presenza, mancano tutte le componenti non verbali della comunicazione, che spesso svolgono un ruolo molto importante nelle interazioni.

Per chi volesse approfondire il tema dell’interpretazione telefonica, ecco qualche spunto in inglese: