Come tradurre il turpiloquio?

tecniche di interpretazione

Come risaputo, qualche giorno fa si è consumato un vivace scontro verbale tra il Ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini e il Ministro degli Esteri e dell’Immigrazione lussemburghese Jean Asselborn il quale, al termine di una replica a Salvini, è sbottato dicendo: “Merde alors!”.

Tralascio i contenuti della diatriba per concentrarmi invece sull’errata interpretazione di quanto detto dal Ministro Asselborn. La stragrande maggioranza della stampa italiana ha parlato della “volgarità” dei toni utilizzati dal Ministro lussemburghese, lamentata anche dal Ministro Salvini, che in un suo post su Facebook ha scritto che Jean Asselborn l’avrebbe “interrotto urlando merda”. Data la prossimità della lingua francese all’italiano, in molti sono caduti (o sono voluti cadere) nel tranello linguistico e hanno tradotto l’esclamazione del Ministro del Lussemburgo con il termine più simile in italiano, senza però preoccuparsi dell’accuratezza della traduzione.

Infatti, chiunque vada un po’ oltre il livello di “Noio volevam savuàr” sa che “merde!” viene usato dai francofoni in maniera decisamente più frequente di come noi italiani utilizziamo “merda!” e non ha affatto la stessa intensità. Va riconosciuto a Il Post il merito di aver chiarito in calce al suo articolo che “la traduzione dal francese nei sottotitoli del video non è precisissima. Infatti «Merde alors!» non significa «Merda!», ma è più simile all’italiano «Porca vacca!»”, o, aggiungo io, “porca miseria / e che diamine”.

Colgo la palla al balzo per trattare un tema che avevo in mente da tempo: cosa fare quando un relatore fa ricorso al turpiloquio. Per un interprete, queste situazioni sono sempre delicate perché si trova a dover decidere in pochi secondi a che cosa dare la priorità: meglio essere fedele al relatore, trasmettendo per intero i suoi contenuti nel medesimo registro senza censure, oppure prediligere la sensibilità di chi ascolta e omettere il turpiloquio? Senza dimenticare che in questa valutazione l’interprete deve anche tenere conto di un altro attore fondamentale, presente in questo triangolo comunicativo, che deve essere tutelato: se stesso e la sua professionalità.

A mio avviso non c’è un’unica strategia di gestione del turpiloquio valida per tutte le situazioni, perché occorre valutare alcuni fattori, primo fra tutti il contesto. Ad esempio, se si tratta di una riunione molto informale e a porte chiuse (invento: diciamo la riunione del Club internazionale “Amici di Topolino”) in cui è chiaro che i partecipanti hanno una certa confidenza tra di loro, l’interprete si sentirà più libero di ricorrere a un registro un po’ più quotidiano (senza esagerare); viceversa, se si tratta di una conferenza molto formale (invento ancora: il Convegno mondiale dei dermatologi specializzati in acne giovanile), magari anche con il pubblico in sala e le telecamere, la scelta più prudente è sempre quella di non scendere troppo di registro. In questo secondo scenario, l’interprete può ridurre l’intensità del turpiloquio o, se la situazione lo rende davvero necessario, rendersi visibile spiegando a chi ascolta che è stata utilizzata una parola forte, senza però ripeterla. In passato mi è capitato di ricorrere a questa strategia e ricordo di aver detto: “Il relatore ha espresso il concetto utilizzando un linguaggio molto colorito, che l’interprete non ripeterà”.

Il secondo fattore da valutare è il ruolo svolto dal turpiloquio in quella determinata situazione. Se si tratta di un’esclamazione evidentemente sfuggita al relatore, ma che non aggiunge nessun contenuto, l’interprete può anche valutare di ometterla. Cambiando scenario, invece, immaginiamo che l’interprete si trovi in un tribunale a interpretare in una causa di diffamazione il cui oggetto del contendenere è proprio l’utilizzo specifico di un insulto ai danni della parte lesa. In questo caso, per quanto volgare sia, è evidente che l’interprete dovrà necessariamente tradurre l’insulto, mantenendone il più possibile intatta l’intensità. In una situazione di questo tipo, l’unica strategia a disposizione dell’interprete restio a tradurre il turpiloquio potrebbe essere quella di tradurre l’insulto una sola volta all’inizio della riunione ed evitare di ripeterlo nelle volte successive facendo ricorso a parafrasi, magari dicendo “l’insulto / quanto detto, ecc.” invece di ripetere l’insulto stesso tutte le volte.

Qualsiasi sia lo scenario, tradurre il turpiloquio per un interprete rimane sempre e comunque un grattacapo di cui farebbe volentieri a meno e per essere risolto al meglio richiede esperienza e una grande sensibilità comunicativa. E a voi è mai capitato di tradurre il turpiloquio?

 

 

 

Emanuela Cardetta
Emanuela Cardetta

Sono un’interprete di conferenza e traduttrice di italiano, inglese, francese e slovacco. Il mio lavoro è aiutare persone che non parlano la stessa lingua a comunicare tra loro in maniera efficace.

Chi sono
4 Comments
  • Nautilus
    Posted at 08:21h, 20 Settembre Rispondi

    Il post mi è piaciuto molto, sia per l’originalità dell’argomento che per la precisione con cui l’hai trattato e sviluppato; come ho detto per altri tuoi articoli, ha il pregio di mostrare lati poco conosciuti e intriganti del tuo lavoro.

    Nel caso della vicenda in oggetto mi ha stupito – ma in realtà fino a un certo punto* – la leggerezza e la fretta con cui i mezzi di informazione (salvo rare eccezioni) hanno etichettato come volgare un’espressione che ovviamente non lo era (e non lo è), dunque senza nemmeno il dubbio di contestualizzare quanto detto dal ministro lussemburghese.

    Non facendo il traduttore (né l’interprete) non mi sono mai trovato a dover gestire formalmente situazioni di turpiloquio, ma ovviamente nel privato mi è capitato di dover volgere certi termini semi-volgari da Lituano a Toscano (il viceversa no, in quanto la lingua lituana è quasi priva di parolacce).

    Per aiutare a capire l’importanza della contestualizzare pensiamo alla parola “bestia”; da noi può essere usata con diverse sfumature (io la uso persino scherzosamente verso mia figlia), mentre in Lituano non solo non esistono sfumature, ma il termine è considerato un bruttissimo epiteto ed è sconsigliato utilizzarlo.

    —–
    * solitamente i media nostrani hanno una conoscenza accettabile del Francese (e della relativa cultura) mentre scivolano regolarmente sull’Inglese.

    • Emanuela Cardetta
      Posted at 08:33h, 20 Settembre Rispondi

      Grazie mille del commento 🙂 Una cosa che hai scritto mi ha stupito moltissimo: il fatto che il lituano sia quasi privo di parolacce. Caspita, che cosa strana! Quindi quando si arrabbiano che cosa dicono?

      Sulla scarsa conoscenza dell’inglese da parte dei media italiani sono assolutamente d’accordo con te, ma quello che più non sopporto è quando prendono parole dall’inglese e le “addomesticano” in un simil-italiano quando non ce n’è assolutamente bisogno. Mi viene in mente la parola “inauguration” (solitamente del Presidente degli Stati Uniti) che viene sistematicamente resa con “inaugurazione”, quando invece la parola corretta c’è già (insediamento) e funziona benissimo.

      • Nautilus
        Posted at 09:05h, 20 Settembre Rispondi

        Una delle parole più volgari è kurva, che ha lo stesso significato che ha in mezza Europa, ma non esistono gli equivalenti di ca**o, f**a, min**ia, cogl**ne, “vaff…”, ecc., e ovviamente (come in moltissimi Paesi) non esistono le bestemmie.
        Dato che a me non piacciono le volgarità trovo il Lituano – (solo) da questo punto di vista – una lingua quasi perfetta.

        Dunque cosa dice la gente quando si arrabbia? Kurva e un altro paio di parole della stessa intensità. Tutto lì. E notare che l’intensità di kurva è ben superiore al nostro pu**ana (cioè, per capirci, non è che kurva lo usi allegramente per intitolarci una canzone, come capita da noi)..

        Se io dico (come ogni tanto dico per scherzare) “mano pimpalas yra didelys” (il mio pisello è grande) la gente si scandalizza; eppure pimpalas vuol dire proprio pisello, non ca**o (che non esiste); c’è solo quel termine, quindi se lo usi all’improvviso a cena la gente arrossisce. Puoi dire pimpalukas (pisellino) quando ti riferisci all’organo maschile dei bambini, ma pimpalas “non è previsto” si usi in una conversazione, da qui lo scandalo.

        Sulla seconda parte del tuo commento non c’è da aggiungere altro, ovviamente.

        • Emanuela Cardetta
          Posted at 10:13h, 20 Settembre Rispondi

          Grazie mille. Buono a sapersi, lo terrò presente se mi dovesse capitare una conversazione a tavola con lituani 😉

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