La parola del giorno: Majáles

Con l’arrivo della primavera, Banská Bystrica, la mia città in Slovacchia, sembra rinata: fiori variopinti e profumati in ogni angolo, colline verdeggianti, uccellini che cantano ed eventi interessanti tutte le sere: concerti di vario tipo, proiezioni di film, iniziative per la promozione della tutela ambientale e chi più ne ha più ne metta.

Vale la pena a questo proposito anche ricordare che ieri, 8 maggio, in Slovacchia  si celebrava l’anniversario della liberazione dal fascismo, un po’ come il nostro 25 aprile.

A proposito di iniziative, oggi, anzi, proprio in questo momento, è in corso l’evento più atteso dell’anno dai giovani della città: il Majáles.

Per ovvie ragioni, nella mia classifica personale dei cosiddetti falsi amici italiano-slovacco (ossia quei termini che sembrano uguali nelle due lingue, ma che in realtà hanno un significato completamente diverso) la parola Majáles è balzata al primo posto 🙂 Diversamente da quello che la parola può evocare ad un italofono, il Majáles è un semplice concerto all’aria aperta, ed il suo nome deriva da máj (maggio) e les (bosco).

La musica popolare slovacca. Anička, dušička

La musica è da sempre uno dei mezzi più efficaci e piacevoli per imparare una lingua ed esplorare una cultura. Questo è ancora più vero per le canzoni popolari, che permettono di immergersi nella storia e nelle tradizioni del popolo che le canta.

In Slovacchia la musica popolare è ancora molto viva e sono ancora molti i festival in cui è possibile ascoltare canzoni e ballare danze popolari.

Gli strumenti musicali utilizzati nelle musica folklorica slovacca sono l’armonica, il violino, il cimbal (uno strumento a corde di grandi dimensioni che la fedele wikipedia dice chiamarsi in italiano cimbalom o cembalo ungherese) e la fujara (uno strumento a fiato in legno).

Una delle canzoni più popolari della musica folklorica slovacca è Anička, dušička.

Ecco il testo in slovacco:

Anička, dušička, kde si bola. Keď si si čižmičky zarosila      

Bola som v hájičku, žala som trávičku, duša moja, duša moja

A ja som po tri dni trávu kosil. Ja som si čižmičky nezarosil

A ja som hrabala, teba som čakala, duša moja, duša moja

In italiano sarebbe più o meno così:

 

Anička, tesoro, dove sei stata. Dov’è che ti sei bagnata gli stivali

Sono stata nel bosco, ho tagliato l’erba, tesoro mio, tesoro mio

Anche io dopo tre giorni ho falciato l’erba. Io non mi sono bagnato gli stivali

E io ho rastrellato, ti ho aspettato, tesoro mio, tesoro mio

Le difficoltà della lingua slovacca per un italofono

Per imparare una lingua straniera bisogna intraprendere un percorso lungo e impegnativo, durante il quale occorre studiare, avere costanza e mettersi in gioco, perché, soprattutto all’inizio, molte saranno le situazioni in cui non ci si riesce ad esprimere come si vorrebbe o non si capisce quello che il nostro interlocutore vuole dirci.

Non esistono lingue facili o difficili in assoluto, però è innegabile che, per alcune persone, alcune lingue siano più difficili di altre. Ad esempio, ad un italiano, il francese o lo spagnolo risulteranno molto più semplici del cinese, così come ad uno svedese risulterà più semplice il norvegese del portoghese, questo perché la facilità o difficoltà di una lingua è direttamente proporzionale alla somiglianza con la propria lingua madre.

Data questa premessa, è facile dedurre quanto sia complicato per un italiano imparare lo slovacco. A mio parere le difficoltà più grandi sono: la pronuncia, la diversità dei vocaboli, la lunghezza delle parole, i casi, l’ordine degli elementi in una proposizione e la scarsità di materiale didattico disponibile. Vediamo ognuna di queste voci.

La pronuncia

Un italiano che studia lo slovacco avrà molta nostalgia delle vocali quando si imbatterà in parole come zmrzlina (gelato) o štvrtok (giovedì). Inoltre avrà difficoltà a capire la differenza a livello di pronuncia fra /h/ e /ch/:  la prima una semplice aspirazione e la seconda è più gutturale (simile alla /h/ dell’inglese nella parola here). Infine, dovrà abituarsi all’idea che in slovacco esistono vocali lunghe, che non hanno niente a che vedere con l‘accento (che in slovacco è sempre sulla prima sillaba). Ad esempio la parola dievčatá (ragazze) avrà l’accento sulla prima sillaba, ma l’ultima sarà lunga, quindi si pronuncerà /diéucataa/.

La diversità dei vocaboli

Essendo lo slovacco appartenente al ceppo delle lingue slave occidentali, di norma i suoi vocaboli non hanno niente in comune con quelli delle lingue neolatine. Per citare alcune parole a caso: capire si dice rozumieť, dormire spať, mangiare jesť, bere piť.

La lunghezza delle parole

Come mi ha detto un collega di università parlando del russo, ogni parola imparata in slovacco è una battaglia vinta. Uno dei motivi è che le parole sono in media abbastanza lunghe (non che l’italiano sia da meno) diversamente ad esempio dall’inglese. Per citarne alcune: rozmaznaný (viziato), dobrovoľnictvo (volontariato), cestoviny (pasta).

I casi

Fermo subito quelli che vogliono muovere l’obiezione che anche in latino ci sono le declinazioni  dicendo che il latino non si parla, e neanche si scrive, ma si traduce, quindi c’è tutto il tempo per capire quale caso viene utilizzato. Parlare una lingua usando i casi è ben altro! In slovacco ci sono 6 casi o declinazioni: nominativo, genitivo, dativo, accusativo, locativo e strumentale (esiste anche il vocativo, ma è piuttosto raro). Moltiplichiamo i casi per il numero dei generi (maschile, femminile e neutro) e per le tipologie di sostantivi a seconda delle desinenze (4 per ogni genere). Infine raddoppiamo per includere anche le desinenze del plurale. Il risultato è 6 x 3 x 4 x 2 = 144 desinenze da memorizzare (scommetto che neanche Pico della Mirandola ce la farebbe!). Fin qui ho parlato solo dei sostantivi. Ovviamente bisogna declinare anche aggettivi qualificativi, aggettivi possessivi, pronomi personali e aggettivi numerali.

Oltre alla difficoltà di capire come si declinano le parole ce n’è anche un’altra: quella di capire in quali contesti si usa ciascun caso e con quali preposizioni. Alcune volte è abbastanza logico: ad esempio il complemento oggetto richiede l’accusativo. Esempio: ho un libro nuovo –  mám novú knihu. Altre volte però non sembra molto logico, per esermpio per esprimere il moto a luogo si usa la preposizione do ­+ il genitivo. Esempio: vado a Bratislava – idem do Bratislavy.

L’ordine degli elementi nella proposizione

Dopo aver accumulato con fatica un piccolo bagaglio lessicale e dopo aver preso  con ancora più fatica dimestichezza con i casi, le difficoltà non sono finite. Parlando ad esempio dell’ordine delle parole, in slovacco, come in italiano, l’ordine non  è così rigido come in inglese. Tuttavia, all’inizio, un madrelingua italiano si troverà un po’ spiazzato dalla struttura di alcune proposizioni che presentano in prima posizione il complemento oggetto invece del soggetto. Cito il titolo di un articolo di giornale: Schengenskú hranicu prekračujú najčastejšie migranti zo Somálska. Tradotto letteralmente sarebbe: il confine di Schengen attraversano più spesso i migranti dalla Somalia.

La scarsità di materiale didattico disponibile

Imparare lingue largamente diffuse come l’inglese e il francese è oggi molto più semplice e divertente grazie alla grandissima varietà di materiale didattico disponibile: oltre a migliaia di libri di grammatica e conversazione per ogni livello, esistono  corsi gratuiti online, siti web, programmi radiofonici, giornali con le tracce audio degli articoli, glossari, dizionari online e chi più ne ha più ne metta. Per lo slovacco invece, visto il numero ridotto di persone interessate ad imparare una lingua parlata da solamente 5 milioni di persone, non c’è una grandissima varietà di materiale didattico disponibile. La selezione si restringe ancora di più per chi non parla l’inglese, visto che gran parte del materiale è in inglese, o comunque, non in italiano. Un’eccezione a questa tendenza è l’insostituibile manuale trilingue Slovenčina Slovak Slovacco di Dagmar Kročanová-Roberts e Barbora Resutíková-Toppi (Bononia University Press, 2010).

Oltre a questo c’è anche da aggiungere che nel caso dello slovacco, non sempre è possibile usare uno dei miei metodi preferiti per imparare una lingua straniera, ossia guardando film con l’audio in una lingua che conosco ed i sottotitoli in slovacco, perché molto spesso i film stranieri in Slovacchia sono sottotitolati, o doppiati, in ceco.

Detto questo, non intendo scoraggiare nessuno ad imparare la lingua slovacca, al contrario, lo consiglio perché nonostante le difficoltà in paricolare iniziali, è secondo me una lingua molto bella e musicale, ma soprattutto, riuscire a comunicare, se pur con fatica, dà soddisfazioni tali e tante quanti (se non di più) sono stati gli sforzi e l’impegno profusi.

Per finire segnalo un interessante articolo sulla lingua slovacca in inglese.

Per vendicarvi con gli slovacchi delle difficoltà della loro lingua 🙂 potete leggere un post di questo blog sulle difficoltà della lingua italiana per uno slovacco.

Il Carnevale in Italia e in Slovacchia

Pochi giorni fa si sono conclusi come ogni anno i festeggiamenti in onore del Carnevale. Vissuto in tutte le culture come un’occasione per prendersi gioco dei potenti, smettere i panni abituali o semplicemente fare baldoria con gli amici, il Carnevale viene declinato in maniera diversa in ogni cultura.

Se pensiamo anche solo all’Italia, i festeggiamenti del Carnevale variano moltissimo da regione a regione e, al di là delle più celebri versioni di Viareggio, Venezia e Cento, sono molti i luoghi che meriterebbero di essere visitati per l’occasione.

In Puglia, ad esempio, meriterebbero una visita il Carnevale di Putignano con la tradizionale sfilata di carri allegorici, ogni anno con un tema diverso e che spesso ritraggono i personaggi politici che hanno calcato maggiormente le scene nell’ultimo anno, ed i veglioni di Sammichele di Bari, feste durante le quali di tanto in tanto irrompono gruppi di persone mascherate che invitano i partecipanti a ballare e che hanno il divieto di togliere la maschera e svelare la loro identità.

Foto: http://www.girofvg.com

Foto: http://www.girofvg.com

In Friuli, invece, tra i tanti festeggiamenti, almeno uno merita di essere menzionato per la sua fedeltà alla tradizione: il Carnevale di Sauris,  in occasione del quale si svolge una suggestiva sfilata delle lanterne fra i boschi con le tipiche maschere di legno.

A proposito di Carnevale, è impossibile non citare almeno due delle delizie tipiche che si preparano in Italia per questa occasione: le chiacchiere (chiamate in Puglia anche bugie e in Friuli crostoli) e le castagnole.

Anche in Slovacchia il Carnevale, chiamato Fašiangy, e’ un evento molto sentito e festeggiato, come spiega benissimo questo interessante articolo apparso su Buongiorno Slovacchia. Pochi giorni fa ho potuto sperimentare di persona l’atmosfera particolare del  Fašiangy di Janova Lehota, un paesino di circa 1000 abitanti non lontano da Banská Bystrica.

Foto: www.slovakcooking.com

Foto: www.slovakcooking.com

Per l’occasione, il giorno prima dei festeggiamenti tutti gli abitanti si sono riuniti per preparare le salsicce (klobasy) che sarebbero state servite per l’evento culmine del Carnevale del paese, chiamato Zabíjačka (che vuol dire letteralmente “uccisione”, con riferimento al maiale che viene sacrificato per l’occasione). Durante la Zabíjačka, tutto il paese si è riunito nella sala del comune e ha pranzato insieme a base di salsicce, kapustnica (zuppa di cavolo acido), šišky (frittelle dolci con marmellata o vari altri ripieni) e buchty (pagnotte dolci ripiene di marmellata o altri condimenti cotte al forno), il tutto innaffiato da vino e dalla tipica slivovica (grappa alla prugna), con il sottofondo di un gruppo di musica popolare slovacca vestito in abiti tradizionali.

Inoltre, come da tradizione, si e’ anche tenuta una festa in maschera per bambini al termine della quale e’ stata decretata la maschera più bella. Aggiungo a questo proposito una nota di colore, perché uno dei membri della giuria incaricata di eleggere il re o la regina del Carnevale dei bambini era la sottoscritta, in quanto straniera, ergo giudice imparziale 🙂 Davvero un’esperienza divertente!

La traduzione letteraria su France Culture

Come credo la maggior parte degli interpreti e traduttori, o più in generale, come tutti gli appassionati di lingue straniere, amo ascoltare la radio nelle lingue che conosco. Oltre che tenere sempre in esercizio le lingue che si studiano o si conoscono, ascoltare la radio permette di imparare moltissime cose in ogni campo e, altro vantaggio non indifferente, permette di farlo nei cosiddetti “momenti morti”, nel mio caso tipicamente mentre vado a lavorare o quando viaggio.

Per me il modo più pratico per ascoltare la radio è attraverso l’abbonamento gratuito ai podcast, così da ricevere automaticamete i nuovi episodi delle trasmissioni alle quali sono abbonata non appena vengono messi in rete.

Tra i vari podcast ai quali sono abbonata, uno dei miei preferiti tra quelli in francese è “Tout Un Monde”. I temi di questo interessantissimo programma settimanale di France Culture sono sintetizzati egregiamente nel sottotitolo della trasmissione “Le magazine des culture et des identités en mouvement”.

Vorrei segnalare in particolare la trasmissione del 29 gennaio, intitolata “Traduire, l’atelier des langues partagées”, dedicata alla traduzione letteraria. Durante il programma intervengono varie personalità attive nell’ambito della traduzione letteraria, in particolare, oltre a traduttori, anche docenti ed editori, che affrontano temi cruciali quali lo status dei traduttori letterari, i vari tipi di formazione e la questione della qualità.

Ecco il link al programma

La lingua della musica

La musica è senza dubbio una delle poche cose in grado di abbattere le barriere culturali e linguistiche che separano i popoli del nostro pianeta. Non sempre i risultati di questo potere di valicare i confini sono positivi, si veda ad esempio il successo universale della hit coreana Gangnam style, ma molto spesso grazie alla musica è possibile entrare in contatto con culture geograficamente molto distanti.

Tuttavia, anche se la lingua della musica è universale, le note musicali vengono lette in maniera diversa a seconda dei paesi. In Italia ed in Francia prendono i nomi DO RE MI FA SOL LA SI, dalle sillabe iniziali dei primi versetti dell’inno gregoriano Ut queant laxis:

Ut queant laxis

Resonare fibris

Mira gestorum

Famuli tuorum

Solve polluti

Labii reatum,

Sancte Iohannes

Ossia: affinché i tuoi servi possano cantare con voci libere le meraviglie delle tue azioni, cancella il peccato, o santo Giovanni, dalle loro labbra indegne. La nota SI deriva dalle iniziali di Sancte Iohannes e la nota DO, da Dominus, sostituisce l’UT, ritenuta troppo difficile da pronunciare.

Nel resto del mondo invece, le note si chiamano A B C D E F G. In Slovacchia, però, al posto della B c’è la lettera H. Convertire le note da un sistema all’altro è molto semplice: bisogna mantenere lo stesso ordine e ricordarsi che la lettera A corrisponde al LA, dunque:

A = LA, B (o H) = SI, C = DO, D = RE, E = MI, F = FA, G = SOL

Se tradurre fosse sempre così immediato, per gli interpreti e i traduttori la vita sarebbe molto più facile 😉

Grazie a Valerio per avermi fatto venire l’idea di questo post

Il fascino della lingua saurana

Complici alcuni familiari ed amici che sono venuti a trovarmi, durante queste vacanze di Natale ho avuto l’opportunità di (ri)fare tappa in alcune delle più belle località della meravigliosa regione che mi ospita da 2 anni, il Friuli Venezia Giulia, una regione che dal mare alla montagna, passando per la collina, non si fa mancare davvero niente. In alcuni dei posti, come Trieste, Cividale e Grado ero stata già svariate volte, ma è stata la prima volta che ho potuto apprezzare le bellezze di Sauris, una delle mete turistiche più gettonate per gli amanti degli sport invernali.

Sauris è un paesino di circa 400 abitanti a oltre 1200 metri di quota (il comune più alto della regione) ed è noto per i suoi salumi, la sua ricotta affumicata e la birra. Al di là del paesaggio mozzafiato e delle prelibatezze irresistibili, quello che maggiormente mi ha affascinato di Sauris è la sua storia ed il suo patrimonio etno-linguistico.

Secondo la tradizione, il paese è stato fondato nel tredicesimo secolo da due soldati tedeschi che, stanchi della guerra, decisero di rifugiarsi nella natura incontaminata di Sauris. A causa delle difficili condizioni geografiche, il paese rimase a lungo isolato. Si narra infatti che per andare nel villaggio più vicino non ci volevano meno di 4 ore di cammino. Per via del suo isolamento, si svilupparono tradizioni indipendenti da quelle nella zona circostante. In particolare prese forma la lingua saurana, un mix tra tedesco antico originariamente parlato nel sud della Baviera, friulano ed italiano.

Nel ventesimo secolo la lingua saurana è stata oggetto dell’attenzione di molti linguisti che, grazie ai loro studi, hanno ricavato importanti informazioni non solo sul saurano, ma anche sull’evoluzione di quello che è poi diventato il tedesco moderno. Dopo alcuni anni di declino, dagli anni ’60 la lingua saurana gode di una rinascita grazie ad un processo di recupero, tanto che oggi esistono dizionari italiano-saurano e testi redatti in questa interessante lingua.

Ecco alcune parole nella lingua saurana:

  • Buongiorno – Guetn tokh
  • Buonasera- Guetn tcnos
  • Ciao – I griessedi
  • Grazie mille – Schoane gedonkhet
  • Arrivederci – Der sehnsi
  • Sauris – Zahre

Per approfondimenti: http://www.sauris.org/

La parola del giorno. Due proverbi in slovacco

Oggi inauguro una serie di post che da qualche tempo mi ronza per la testa e che chiamerò “la parola del giorno” in cui condividerò con chi lo vorrà i termini curiosi che scopro nelle lingue che conosco.

Per cominciare, data la mia passione per i proverbi, in questo post parlerò di due proverbi in slovacco che ho scoperto qualche giorno fa.

Ja nič, ja muzikant – Il significato letterale è “io niente, io musicista” e viene usato quando si vuole dire che non si è responsabili di un evento o di una circostanza sgradevole che si è verificata. In italiano non mi sono venuti in mente proverbi corrispondenti al cento per cento con la versione slovacca. La traduzione più vicina potrebbe essere “Non sono stato io” (come non pensare all’episodio dei Simpsons?).

Som z toho jeleň – Il significato letterale è “di questo sono cervo” e viene usato per dire che in un determinato campo si è davvero incompetenti o per niente dotati, con un registro informale, un po’ come il nostro “sei un somaro”.

Ringrazio Michaela che ha suggerito come traduzione alternativa di questo proverbio l’espressione italiana “non so più che pesci pigliare”, in quanto l’accento non sarebbe tanto sulla propria impreparazione, ma sulla confusione generata da informazioni contrastanti.