Marco Pannella: l’uomo dalle cento cravatte e dalle mille parole

Il post di oggi esula un po’ dalle tematiche tradizionali, ma ieri è morto Marco Pannella, e avevo voglia di condividere con i miei lettori il ricordo che ho di lui. Ho avuto il piacere di incontrarlo nel 2010, in occasione del Consiglio Nazionale del Partito Radicale a Roma. All’epoca ero all’ultimo anno di università e il Partito Radicale aveva chiesto alla mia facoltà se c’erano due studenti di interpretazione disponibili a lavorare in cabina di francese durante le giornate del convegno che si sarebbe tenuto al Senato. Insieme alla mia amica e compagna di studi Patrizia ci siamo fiondate a Roma e abbiamo fatto una bellissima esperienza, sia dal punto di vista professionale, che da quello umano.

Marco Pannella è stato una parte importante di quella esperienza, sia dentro che fuori dalla cabina. La sera prima del convegno siamo andate ad incontrare lo staff del Partito Radicale per un briefing. Appena è arrivato Marco Pannella, preceduto dalla sua inseparabile nube di fumo, la prima cosa che mi ha colpito oltra alla sua statura è stata la sua cravatta variopinta. Nei giorni successivi ho potuto ammirare altri pezzi della sua personalissima collezione di cravatte “vivaci” (ma quante ne aveva?) e ho capito che se un uomo di 80 anni riesce a portare delle cravatte del genere con quella disinvoltura non può che essere un uomo davvero libero.

Quando ci hanno presentate ci ha subito accolto con grande calore e dalle sue prime parole ho capito la sua seconda peculiarità: la sua energia. Era un fiume in piena, sia nel ragionare che nel parlare. Questa sua peculiarità ci avrebbe messo a dura prova il giorno dopo durante la simultanea: era un uomo con una mente agilissima, talmente agile che a volte si faceva fatica a stare dietro ai suoi ragionamenti. In una sola frase era in grado di passare dal satyagraha all’ipad, magari facendo mezza frase in italiano e mezza in francese (che parlava benissimo). E noi eravamo lì, quasi in apnea, a cercare di comprendere e tradurre i suoi ragionamenti densissimi e a cambiare il canale della lingua di uscita ogni 2 secondi.

A quanto pare non eravamo le sole ad avere difficoltà a star dietro a questa forza della natura, perché a fine giornata il tecnico audio ci ha chiesto: “Ma come fate a tradurre Pannella? Io non riesco a seguirlo neanche quando parla italiano”.

Per chi avesse bisogno di fare un ripasso dell’eloquio di Marco Pannella, ecco una puntata della sua rubrica su Radio Radicale “Conversazione settimanale con Marco Pannella”.

Marco Pannella è stato il mio battesimo del fuoco come interprete ed è stato una fonte di ispirazione come persona. Spero che ovunque sia adesso ci sia qualcuno che ascolti i suoi ragionamenti e che abbia sempre a portata di mano il suo inseparabile pacchetto di sigarette.

In alto, una foto scattata da Patrizia dalla fantastica cabina-soppalco durante una sessione del Consiglio alla sede del Partito Radicale

 

Vita da freelance: come gestire i momenti di magra

Diciamocelo: per alcuni versi lavorare come freelance è fantastico. Non ci sono superiori antipatici da sopportare, non bisogna fare la lotta coi colleghi per prendere le ferie, compatibilmente con le scadenze si ha la libertà di organizzare il proprio lavoro e, se non si ha nulla da fare, ci si può tranquillamente concedere il lusso di andare a fare un bagno in piscina anche alle 3 del pomeriggio. Ovviamente non è tutto oro quel che luccica perché c’è uno scotto da pagare per questa libertà: un freelance non ha uno stipendio fisso, non ha le ferie e il congedo di malattia pagati e soprattutto non ha un flusso di lavoro prevedibile e tanto meno costante.

Nella mia esperienza, quest’ultima peculiarità è la più difficile da gestire. Soprattutto nei primi anni, un freelance passa da momenti di estasi, in corrispondenza di incarichi consistenti e soddisfacenti, a momenti di magra, in cui sembra che nessuno abbia più bisogno di noi e in cui, nelle fasi più acute, finiamo per rimpiangere il nostro caro vecchio lavoro da dipendente. E’ proprio in questi momenti che è fondamentale mantenere alto lo spirito e ricordarsi che i momenti di magra capitano a tutti e che non c’è motivo di disperarsi.

Al contrario, bisogna ricordare che i momenti morti possono essere preziosi perché ci offrono l’opportunità di dedicarci ad attività non sono piacevoli, ma anche utili, che però normalmente non abbiamo il tempo di fare. Sono proprio questi i momenti in cui possiamo gettare i semi che in futuro ci permetteranno di crescere professionalmente. Parlo di tutte quelle attività che arricchiscono il nostro bagaglio professionale di nuove competenze o che semplicemente ci rendono persone e, di conseguenza, anche professionisti migliori.

Ecco qualche esempio valido per il campo che conosco meglio, la traduzione:

Attività Potenziali benefici professionali
Ricerca di nuovi clienti Aumento del flusso di lavoro
Aggiornamento sito / CV / profili sui social network professionali Una maggiore visibilità aumenta le possibilità di trovare nuovi clienti
Fare rete e confrontarsi coi colleghi (online o di persona) Miglioramento delle competenze professionali e aumento del flusso di lavoro
Aggiornamento professionale (lettura articoli / ascolto contenuti nelle nostre lingue di lavoro) Miglioramento delle competenze professionali
Approfondimento di un campo totalmente diverso dal nostro (potremmo fare un corso di medicina / pittura / cinema… qualsiasi cosa solletichi il nostro interesse) Preparazione a un eventuale incarico su quel tema
Sport Mantenimento di un buono stato di salute psicofisico
Relax e ricarica delle batterie in vista della prossima ondata di lavoro Mantenimento di un buono stato salute mentale

E voi, freelance e non, avete altri suggerimenti per tenere lontano lo sconforto e mettere a frutto i momenti di magra?

 

La musica slovacca

Essendo la Slovacchia un Paese fuori dai sentieri generalmente più battuti, sono in pochi a conoscerne le ricchezze paesaggistiche, culturali e artistiche. Eppure, ve lo assicuro, ne ha davvero tante. Ad esempio, la scena musicale slovacca è molto vivace ed è popolata da molti artisti che spaziano tra tutti i generi musicali. Ultimamente la Slovacchia sembra essersi resa conto del suo patrimonio musicale e, nel tentativo di salvarlo dal costante attacco della musica in lingua inglese, è stata fatta una legge che impone dal 2016 alle radio di trasmettere un minimo di 20% di musica slovacca (o di un interprete slovacco), percentuale che nel 2017 salirà al 25% per le radio private e al 35% per le radio pubbliche.

Se siete curiosi, ecco una lista di artisti slovacchi:

  • Szidi Tobias, una delle mie preferite, cantautrice raffinata dotata di una voce molto riconoscibile che propone brani anche in ceco e ungherese
  • Lucia Lužinská, cantante jazz, in questo brano con Milan Lasica, famosissimo attore, comico e cantante
  • Polemic, gruppo ska perfetto per le serate danzanti
  • Cigánski diabli, gruppo di rom slovacchi che generalmente propone brani di genere gipsy, spaziando però anche con brani più moderni, come questo
  • Jana Kirschner, artista pop-rock molto popolare e talentuosa
  • Katarína Knechtová per gli amanti del genere pop
  • Martin Geisberg, un altro dei miei preferiti. Cantautore talentuoso e poliedrico
  • Elán gruppo pop-rock sulla scena da oltre 40 anni (una specie di Pooh slovacchi)
  • Rytmusqui scendiamo dal mio punto di vista decisamente di livello, con un cantante rap non particolarmente raffinato, ma ve lo propongo per dovere di inventario
  • Sto múch, gruppo con un forte impatto scenico (mi ricordano un po’ Elio e le storie tese)
  • Fragilegruppo a cappella. Sono slovacchi, ma una grossa parte del loro repertorio è internazionale
  • Pressburger, gruppo slovacco di genere klezmer (si chiamano così perché Pressburger è il vecchio nome di Bratislava)

E per finire, vi lascio con una punta di diamante della scena musicale slovacca: Dalibor Karvay, uno strabiliante virtuoso del violino appena trentenne ma già con un’incredibile carriera alle spalle

Certificazioni di lingua slovacca

Quando si studia una lingua straniera si può aver bisogno di certificare la propria conoscenza e “quantificare” il proprio livello. Ad esempio, una certificazione può essere utile per iscriversi ad un’università straniera o per lavorare all’estero.

Per lingue come inglese, francese, tedesco e spagnolo l’offerta di certificazioni e di enti in cui è possibile sostenere gli esami è ampia e le informazioni sono facilmente reperibili su internet. Per chi invece vuole certificarsi in una lingua meno diffusa come lo slovacco la faccenda è un po’ più complicata.

In questo post, passerò in rassegna alcuni tipi di certificazioni di lingua slovacca per stranieri ed i relativi enti di certificazione.

  • Centrum ďalšieho vzdelávania: in questo centro dell’Università Comenius di Bratislava è possibile sottoporsi a esami di certificazione di slovacco dal livello A2 al livello C2. E’ anche possibile frequentare corsi di preparazione all’esame. L’esame costa 100 euro e consta di una parte scritta ed una orale. Consiglio di consultare la versione della pagina in slovacco perché contiene molte più informazioni sul contenuto dell’esame per ciascun livello rispetto alla pagina in inglese. Se si supera l’esame, il certificato ottenuto è valido in tutta l’Unione Europea.
  • L’International House Bratislava di Bratislava dà la possibilità si sostenere l’esame di certificazione ECL (European Consortium for the Certificate of Attainment in Modern Languages) a tutti i livelli al costo di 100 euro. Consiglio di dare un’occhiata al sito perché è possibile effettuare un test di simulazione per avere un’idea del proprio livello.
  • L’esame ECL può essere sostenuto anche alla scuola di lingue SJS di Košice dal livello A2 a C1. Sul sito non vengono precisate ulteriori informazioni.
  • La scuola di lingue 1sjs di Bratislava offre la possibilità di certificare il proprio livello di slovacco con il cosiddetto esame di stato. Il tipo di esame è diverso rispetto ai precedenti ed i livelli offerti sono il base, corrispondente al B2 (qui le competenze richieste) ed il generale, ossia il C1 (qui le competenze richieste). Anche in questo caso, la scuola offre corsi di preparazione all’esame. Il costo dell’esame non è esplicitato sul sito.

La parola del giorno: cépečkár

Non so se capita anche a voi, ma a me capita spesso di imparare una parola fino a quel momento a me sconosciuta e da lì in poi trovarla continuamente e dappertutto per i giorni successivi. Questo è quello che mi è successo ultimamente con la parola slovacca cépečkár (pronunciato: zèpeckar).

Un cépečkár o cezpoľný è una persona che vive e lavora/studia in una città diversa da quella in cui è nato. Solitamente è un termine che si usa per definire uno slovacco che si trasferisce a Bratislava, ma proviene da un’altra regione del Paese. La quintessenza del cépečkár è uno slovacco dell’est, ossia un východniar (da východ: est) che si trasferisce a Bratislava per studiare o lavorare. Trasportato nella cultura italiana, è il corrispondente del pugliese/calabrese/siciliano a Milano.

Non esiste un corrispondente 1 ad 1 di cépečkár in italiano perché è un concetto che tendiamo a distinguere in due sottoconcetti: “fuorisede” e “pendolare”. Tuttavia, se in slovacco si vuole parlare nello specifico del concetto di “pendolare”, si usano i verbi pendlovať e dochádzať.

La cosa più affascinante di questa parola è la sua origine: cépečkár, di cui esiste anche la variante grafica CPčkár, viene dal nome del sito cp.sk, un sito fantastico e molto popolare in Slovacchia in cui è possibile trovare informazioni e orari sui servizi di trasporto (ebbene sì, per la nostra invidia, un unico sito per tutto: treni, autobus e aerei!). CP sta a significare cestovný poriadok, che potremmo tradurre con “piano di viaggio” o “orari dei trasporti”, a seconda delle circostanze.

Per chi volesse approfondire, ecco qualche risorsa (in slovacco):

  • TedX talk discorso in cui un grafico parla dei suoi progetti, sfiorando anche il tema del cépečkár
  • Articolo di Denník N sui cépečkári che vanno nella direzione opposta
  • Articolo di Denník N sulle frizioni tra cépečkári e bratislavesi

 

Pillole di storia: la legione cecoslovacca in Italia

Sono sempre stata convinta che tra italiani e slovacchi ci fosse un’affinità naturale. A quanto pare una delle cause di questa comunanza di vedute è da ricercare nella storia moderna.

Facciamo un passo indietro di 100 anni: l’Italia era impegnata nella Grande Guerra contro l’Austria-Ungheria, i cui territori comprendevano anche quella che poi sarebbe diventata la Cecoslovacchia. Di conseguenza, i soldati cecoslovacchi combattevano al fianco degli austro-ungarici, quindi contro gli italiani. Durante gli scontri, gli italiani catturarono molti soldati cecoslovacchi, molti dei quali furono trasferiti del campo di prigionia della Certosa di Padula (Salerno) e che decisero di passare dalla parte degli italiani e combattere contro l’Austria-Ungheria per realizzare il loro progetto di indipendenza. Nel 1917 nacque nel campo di prigionia di Santa Maria Capua Vetere (Napoli) il Corpo Cecoslovacco di volontari (ci fu una legione cecoslovacca anche in Russia e in Francia).

Italiani e cecoslovacchi combatterono fianco a fianco e furono molti i soldati cecoslovacchi caduti sul fronte con addosso la divisa italiana e il cappello alpino. Nel 1918 l’Italia fu il primo Paese a riconoscere il Consiglio Nazionale Cecoslovacco nato a Parigi come governo di uno stato che di fatto ancora non c’era: la Cecoslovacchia.

Poiché questo non è un blog di storia, non mi dilungherò oltre, ma consiglio a chi fosse interessato di approfondire il tema. Ecco alcuni spunti:

  • Sito del CEDOS (Centro Documentazione Storica sulla Grande Guerra): che ha organizzato un imperdibile colloquio internazionale lo scorso venerdì 23 ottobre a Conegliano (Treviso) proprio sul tema della legione cecoslovacca in Italia e la mostra “Anch’essi portavano il cappello alpino”, sempre a Conegliano
  • articolo Ako vznikali česko-slovenské légie v Taliansku pubblicato sul quotidiano slovacco Pravda l’anno scorso.

Foto: Wikipedia

Espressioni idiomatiche sul vino

Come tutti gli interpreti, ho una passione smodata per i proverbi e le espressioni idiomatiche. Oggi vorrei proporne alcuni che riguardano un’altra delle mie passioni: il vino. Cominciamo con l’inglese.

To wine and dine someone: viziare qualcuno offrendogli una cena di lusso. Esempio: He had to wine and dine Michael Crawford to convince him that he was capable of delivering a virtuoso performance as The Phantom Of The Opera (esempio tratto dal British National Corpus). Traduzione: Ha dovuto offrire a Michael Crawford una cena di lusso per convincerlo che era capace di un’esibizione da virtuoso nel Fantasma dell’Opera.

You can’t put new wine in old bottles: è sbagliato mescolare qualcosa di vecchio con qualcosa di nuovo. Esempio: I think it is a mistake for the managers of that traditional art gallery to exhibit modern paintings. You can’t put new wine in old bottles (esempio tratto da The Free Dictionary). Traduzione: Credo che sia un errore per i dirigenti di quella galleria d’arte tradizionale esporre dipinti moderni. Non si possono mescolare vecchio e nuovo.

Passiamo al francese.

Mettre de l’eau dans son vin: moderarsi / ammorbidirsi. Esempio: Moi aussi, je détestais les dîners en famille quand j’avais ton âge. Mais avec l’âge j’ai mis de l’eau dans mon vin (esempio adattato da News in Slow French). Traduzione: Anch’io detestavo le cene in famiglia quando avevo la tua età. Ma con l’età mi sono ammorbidita.

Verser un pot-de-vin: versare una tangente / bustarella. Esempio: La Fédération japonaise a rejeté dimanche des allégations selon lesquelles elle aurait versé un pot-de-vin à la Fédération sud-américaine pour la remercier d’avoir soutenu le Japon pour accueillir la Coupe du monde 2002 (esempio tratto da Eurosport). Traduzione: La Federazione giapponese domenica ha respinto le accuse di aver versato una bustarella alla Federazione sudamericana per ringraziarla di aver sostenuto il Giappone come paese ospitante della Coppa del Mondo 2002.

E infine lo slovacco.

Vodu káže, víno pije: predicare bene e razzolare male / dire una cosa e farne un’altra (letteralmente: predica acqua, beve vino). Esempio: Vodu káže, víno pije: Ficova vláda dala dotácie firme scientológa! Traduzione: predica acqua, beve vino: il governo di Fico ha concesso fondi a Scientology! (Titolo di un articolo pubblicato durante l’ultima campagna presidenziale in cui si sono confrontati nelle vesti di candidati l’attuale premier slovacco Robert Fico e il filantropo Andrej Kiska, accusato dal primo di essere vicino a Scientology; ecco la ragione dell’incoerenza messa in evidenza dall’articolo).

Naliať si čisté víno / Naliať si čistého vína: dire la verità. Esempio: O to viac si myslím, že raz si bude musieť naliať Európska únia čisté víno a povedať si, či kroky, ktoré boli voči Líbyi predtým urobené, boli tie najsprávnejšie. Traduzione: A questo proposito, credo che si dovrà essere onesti e dire se quello che è stato fatto in Libia era la cosa più corretta da fare (esempio tratto da Pluska).

 

 

Slovacchia: differenza tra univerzita e vysoká škola

In Slovacchia esistono due tipi di istituti universitari: l’univerzita e la vysoká škola (letteralmente “scuola alta”). Se comunque nella pratica, dal punto di vista di uno studente, non c’è nessuna differenza evidente tra le due istituzioni, dal punto di vista amministrativo c’è una differenza importante: il titolo di univerzita può essere concesso solo previo accreditamento presso il Ministero dell’Istruzione (akreditácia).

Si tratta di un procedimento lungo e complesso che viene fatto periodicamente e che prende in considerazione vari parametri, tra cui le pubblicazioni scientifiche e i programmi di studio.

L’ultimo accreditamento, relativo al periodo 2008-2013 si è concluso proprio poche settimane fa e i risultati sono stati al centro di molte polemiche poiché su 22 istituti universitari esaminati, 5 potrebbero perdere il titolo di univerzita se entro un anno non rimedieranno alle carenze segnalate nella valutazione del Ministero.